1 -MORAL SUASION DISARMATA CONTRO L'INVADENZA DEL FISCO
Lettera di Nicola Rossi pubblicata dal "Sole 24 Ore"
Gentile dottor Befera,
rif54 nicola rossi paolo franchiho letto con attenzione - come, penso, molti altri contribuenti italiani - la lettera che, in qualità di direttore del l'agenzia delle Entrate, ha ritenuto di inviare agli uffici territoriali dell'amministrazione finanziaria. Ne ho apprezzato la forma e la sostanza. Ma temo di doverle segnalare che la sua lettera, lungi dal rappresentare la soluzione del problema, è piuttosto l'espressione compiuta del problema stesso.
L'idea che il rapporto fra Stato e cittadino possa essere definito in una lettera inviata da un valente funzionario dello Stato ai suoi collaboratori è in sé espressione di un rapporto non paritario. Attraverso i suoi uomini migliori il Sovrano graziosamente concede al suddito un trattamento più umano ed equo.
È una visione che temo non ci porti lontano. Perché il rapporto fra Stato e cittadino sia realmente paritario, deve esprimersi in primo luogo nei comportamenti quotidiani dello Stato (e l'accertamento non sempre fa parte di questa categoria). Ma soprattutto, la natura paritaria del rapporto fra Stato e cittadino, trova la propria espressione naturale in primo luogo nella lettera della legge.
nicola rossi lapSotto il primo profilo, lo Stato italiano appare, agli occhi del cittadino, quotidianamente inadempiente e regolarmente impunito per le sue inadempienze. Appare tale agli occhi del cittadino che non ottiene giustizia, o che ricorre alla vigilanza privata perché l'ordine pubblico non è garantito come dovrebbe, o che vede nell'istruzione privata o nella sanità privata l'unica costosa alternativa a un pubblico che ha imparato a chiedere (se non a pretendere) ma spesso e volentieri arrogantemente si rifiuta di dare. Ci si lamenta spesso dello scarso senso civico degli italiani, ma non altrettanto spesso si riconosce come sia lo Stato, in tutte le sue articolazioni, a manifestare scarso civismo.
Attilio BeferaMa soprattutto, come dicevo, è la legge il luogo in cui Stato e cittadino vedono sancita la propria parità. E lei, dottor Befera, sa bene che le norme entro le quali da quindici anni a questa parte si esplica la sua attività sono norme più da stato di emergenza (se non di assedio) che da stato di diritto. L'elenco è lungo e a lei ben noto. Si tratta, spesso e volentieri, di norme che non sarebbero nemmeno lontanamente concepibili in un rapporto fra privati (cioè in un rapporto fra pari) e che hanno sancito da quindici anni a questa parte la trasformazione del rapporto fra Stato e cittadino in un rapporto diverso: quello fra Sovrano e suddito.
Da quindici anni a questa parte, governanti di ogni tendenza hanno detto e ripetuto che questa trasformazione era ed è necessaria e dovuta se si voleva e se si vuole attaccare e sconfiggere il fenomeno dell'evasione. Un obbiettivo - sia detto senza la minima esitazione - che dovrebbe comparire ai primissimi posti nell'agenda di qualunque governo della Repubblica.
Ebbene, a distanza di quindici anni, i comunicati delle amministrazioni che lei guida ci ricordano a cadenza regolare che da un lato cresce significativamente il recupero di imponibili evasi e, dall'altro, crescono gli imponibili evasi. Ben vengano, dunque, le sue istruzioni agli uffici territoriali.
Ma, mi creda, il problema non è il bon ton dell'amministrazione finanziaria. Il problema è l'impostazione esclusivamente coercitiva dei rapporti fra Stato e cittadino che i governi degli ultimi quindici anni - tutti, indistintamente - hanno fatto propria. Un'impostazione fuori dalla storia e, come si vede, destinata alla sconfitta.
ATTILIO BEFERA
2 - LA LETTERA DI ATTILIO BEFERA AI DIPENDENTI
A ottobre dello scorso anno ho inviato ai Direttori centrali e regionali una lettera in cui mettevo in risalto gli eccellenti risultati conseguiti dall'Agenzia nell'attività di recupero dell'evasione fiscale, sottolineando che la nostra attività deve ispirarsi a due principi basilari: correttezza ed efficienza. Principi che considero fra loro inscindibili. Se la nostra missione ha lo scopo fondamentale di accrescere il livello di adempimento spontaneo degli obblighi fiscali, dobbiamo distinguere bene fra i comportamenti che favoriscono il raggiungimento di tale scopo e i comportamenti che finiscono invece per vanificarlo.
Dicevo in quella lettera, ripresa anche da organi di stampa, che noi rappresentiamo lo Stato nell'esercizio di una delle sue funzioni più autoritative - il prelievo fiscale - e dobbiamo perciò operare in modo da guadagnare sempre più, nell'esercizio di quella funzione, il rispetto e la fiducia che i cittadini devono all'Istituzione di cui siamo rappresentanti. Continuo però a ricevere segnalazioni nelle quali si denunciano modi di agire che mi spingono adesso a rivolgermi direttamente a tutti voi per richiamare ognuno alle proprie responsabilità e ribadire ancora una volta che la nostra azione di controllo può rivelarsi realmente efficace solo se è corretta.
attilio befera lapE non è tale quando esprime arroganza o sopruso o, comunque, comportamenti non ammissibili nell'ottica di una corretta e civile dialettica tra le parti. È chiaro che non tutte queste segnalazioni sono affidabili. Possono certamente essere influenzate da interessi strumentali. Ma non saremmo onesti - e tradiremmo alla fine il senso profondo della nostra missione - se facessimo finta di ignorare che nel complesso possono esprimere un disagio reale. Rimango poi sconcertato quando mi viene riferito che qualcuno, a giustificazione di tali comportamenti, farebbe presente di operare in quel modo per necessità di raggiungere l'obiettivo assegnato.
Non so se in questi casi sia più la mediocrità della competenza professionale o la carenza di consapevolezza del proprio ruolo istituzionale che impedisce di comprendere immediatamente quale devastante danno di immagine venga in questo modo inferto all'Agenzia, al proprio ufficio e ai colleghi, finendo quasi per apparentarne l'azione a quella di estorsori. Operando così, si alimentano purtroppo i peggiori stereotipi che rimbalzano non di rado contro la nostra attività nella comunicazione mediatica, offuscando tutto ciò che di straordinario siamo riusciti a realizzare in questi anni al servizio del Paese con la dedizione, la professionalità e l'intelligenza di cui abbiamo saputo dare prova. Sento perciò il dovere di ribadire, ancora una volta, punto per punto, le indicazioni date in quella lettera di qualche mese fa.
Se un accertamento non ha solido fondamento, non va fatto e se da una verifica non emergono fatti o elementi concreti da contestare, non è corretto cercare a ogni costo pseudoinfrazioni formali da sanzionare solo per evitare che la verifica stessa sembri essersi chiusa negativamente. Insomma, se il contribuente ha dato prova sostanziale di buona fede e di lealtà nel suo rapporto con il Fisco, ripagarlo con la moneta dell'accanimento formalistico significa venire meno a un obbligo morale di reciprocità, ed essere perciò gravemente scorretti nei suoi confronti.
Allo stesso modo, non è ammissibile pretendere dal contribuente adempimenti inutili, ripetitivi e defatiganti; e costituisce una grave inadempienza ritardare l'esecuzione di sgravi o rimborsi sulla cui spettanza non vi sono dubbi. Devono invece valere sempre - nell'attività di controllo così come in quella di servizio - le modalità di relazione che i contribuenti stessi elogiano nelle lettere che da qualche tempo pubblichiamo su intranet: disponibilità, cortesia, capacità di ascolto, chiarezza nelle spiegazioni, attenta valutazione senza preconcetti di problematiche complesse, volontà di cogliere la sostanza delle questioni e di trovarne tempestivamente la soluzione.
Senza trincerarsi dietro esasperanti formalismi o piccole astuzie burocratiche. Ed è ancora più significativo che questi apprezzamenti arrivano magari anche quando (anzi «proprio» quando) gli stessi interessati riconoscono alla fine, nelle loro lettere di plauso, che avevano in realtà torto; e andando un po' a scavare non ci vuole molto a capire che dietro quell'elogio c'è il sollievo e, insieme a questo, il senso di orgoglio (spesso deluso, ma sempre pronto a ravvivarsi) che ognuno di noi prova come cittadino nel sentirsi finalmente parte di uno Stato che non si manifesta nelle modalità minacciose dell'Autorità imperscrutabile (percezione, questa, che, nel linguaggio comune, affiora solitamente in espressioni caratteristiche di una distanza incolmabile, come «Loro fanno così, e basta», «Loro non ti stanno a sentire», «Loro non vogliono capire»), ma nei comportamenti di funzionari che esercitano con autorevolezza il loro potere, dando prova di equilibrio, competenza, misura e ragionevolezza.
Vorrei essere assolutamente chiaro.
Non sarei tornato ancora su queste indicazioni, se non ne avvertissi l'importanza cruciale, e se non le considerassi quindi vincolanti e impegnative. In altre parole, sbaglierebbe profondamente chi dovesse magari continuare a ritenerle dentro di sé pure esortazioni e non già obblighi precisi di condotta, la cui inosservanza è rilevante anche sotto il profilo disciplinare.
E poiché i comportamenti negativi che ho appena descritto sono gravi per le conseguenze cui danno luogo, gravi saranno anche le relative sanzioni, nessuna esclusa: se determinate azioni impediscono o infrangono la relazione di fiducia fra l'Agenzia e i cittadini, non si vede come possa continuare a permanere l'elemento fiduciario che è alla base del rapporto di lavoro con l'Agenzia. E se esigiamo serietà e coerenza dai contribuenti, dobbiamo noi per primi dare prova di serietà e coerenza nel rispetto dei principi cui diciamo di ispirare la nostra azione.
Da qualunque parte affrontiamo il discorso, arriviamo così sempre alla conclusione che le ragioni dell'etica e quelle della convenienza dimostrano la loro fondatezza solo se le vediamo alla fine convergere. I comportamenti vessatori sono eticamente scorretti e in quanto tali sono anche controproducenti. Come qualunque altra azione immorale, quella di evadere le imposte - continuando però a fruire dei servizi che gli altri concorrono a finanziare pagandole, invece, le imposte - cerca sempre una giustificazione morale, e ama trovarla, se gliene viene offerta l'opportunità, nella scorrettezza di chi avrebbe il compito, con la trasparenza e la linearità della propria condotta, di indurre al rispetto degli obblighi fiscali.
In un sistema basato sull'autotassazione, l'attività di controllo raggiunge effettivamente il suo scopo - la tax compliance - solo se si basa su comportamenti in grado di ispirare fiducia e lealtà. La regola da seguire è in fondo molto semplice. È una regola di rispetto: comportiamoci tutti, come funzionari del Fisco, così come vorremmo essere tutti trattati come contribuenti.