Tommaso Cerno per "espresso.repubblica.it"
Vittorio SgarbiUn giallo su Raffaello. Le voci di una presunta burla. Un museo che si difende a spada tratta. Un ex allievo stigmatizzato come «il Gerry Calà dell'arte» dal suo maestro. E un famoso critico d'arte, divo della tv che attacca. Sul caso sollevato da "l'Espresso" si è scatenata la bufera. E Vittorio Sgarbi, che di bufere se ne intende, parla di uno "scherzo".
Così altri insinuano che dietro allo studio sulla "Visione di Ezechiele" presentato a Urbino ci sia proprio il critico ferrarese. Magari un accordo con il suo ex allievo per far inciampare il settimanale "nemico". E invece non è così. Perché Sgarbi entra nel merito della vicenda e del suo presunto «scherzo da svelare». Sollevando pure qualche dubbio sul quadro esposto a palazzo Pitti. Di cui raccontava appunto il servizio de "l'Espresso".
Sgarbi, "l'Espresso" ha raccontato un giallo su Raffaello. Lei ha attaccato durissimo. Perché?
«Beh, prima di tutto facciamo un discorso di principio: diffidiamo di tutte le storie che riguardano la provenienza dei quadri. La prima cosa da cui partire è la verifica dell'oggetto. E io ho detto che questo secondo quadro che avete mostrato appare insufficiente e lontano da Raffaello. Seconda regola: fra un quadro di museo e uno di collezione privata vince il primo, se manca un'evidenza assoluta».
C'è chi afferma, però, così come lo studioso Roberto De Feo, che il quadro di Pitti è una copia. E questo era la materia del giallo raccontato. E' possibile?
«Fino a questo si può arrivare. Si può anche mettere in dubbio il quadro di Pitti, perché è possibile che non sia di Raffaello. Si può anche dire che il quadro di Pitti ha dei problemi. Fino qui si può arrivare. Potrebbe essere Giulio Romano o un altro della bottega, questo è vero».
Pitti ha risposto che il quadro esposto è certamente vero. E mai discusso. Non è una contraddizione?
«Si può dire che un quadro come quello di Pitti può avere dubbi. Il problema è che allora il dipinto di Firenze deve anche essere schiacciato dall'evidenza dell'altro. Quest'altro quadro non ha la forza, non tiene il campo. A questo punto, se anche dubbio c'è, non è l'altro dipinto che lo favorisce».
Di fronte al dubbio su Pitti è un giallo. O no?
«Sì ma l'enfasi lo rovina. Dà l'idea della grande scoperta incontrovertibile che, per essere tale, deve uccidere ogni alternativa e ottenere unanime riconoscimento. Qui invece non c'è stato questo. Non per difendere il dipinto di Pitti, che a me non frega niente di difendere, ma perché il secondo dipinto non tiene il campo. Per cui la storia è interessante, il giallo ha elementi oggettivi, ma non è definitivo. Perché quello di Pitti è migliore fra i due. E perché nell'altro manca il primato del disegno, mentre nel dipinto di Pitti prevale il disegno. L'altro è più morbido, elude il disegno. Vedere il dipinto ci dà la misura di una psicologia che non è quella di Raffaello».
E i documenti inediti, non la incuriosiscono?
«La sola documentazione è necessaria, ma non sufficiente. Per cui per ora è meglio Pitti. L'altro mostra l'evidenza della scuola emiliana. Si vede un po' di Correggio, si vede un po' di Innocenzo da Imola, un po' Girolamo da Capri. Ha un'aria emiliano-romagnola che parte da un paradigma che certamente è quello raffaellesco. Su questo non c'è dubbio. Ma sembra dipinto una quindicina d'anni almeno dopo la morte di Raffaello nel 1520».
Lo studio dice che il quadro di Pitti sembra posteriore alla morte. E' possibile che siano copie tutti e due?
«Quello nuovo non è Raffaello. Quello di Pitti è favorito da una sua collocazione, ma ha effettivamente una conduzione pittorica un po' dura, che però rientra nella logica del disegno. Non è sufficiente, però, a farne nascere un dubbio sostanziale. Servirebbe una terza versione. Se la domanda è fra questi due, resta Pitti il migliore dei due».
Perché lei ha detto che "l'Espresso" sarebbe rimasto vittima di una burla?
«Quello che mi stupisce in questa vicenda è che questa materia è interessante per un saggio scientifico, che metta insieme le diverse repliche e ponga un dubbio. Ma la suggestione della provenienza si scontra con la regola primaria: il giudizio sul quadro in sé. Lo possono dare pochissime persone. Una trentina in Italia sanno vedere un quadro. Un Raffaello forse tre o quattro. Voi non le avete sentite. E allora dico: sembra uno scherzo».