Riccardo Arena per "la Stampa"
CianciminoL'enigma infinito di Massimo Ciancimino continua. Al termine di un interrogatorio sulla carta segretissimo, il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo ha fatto ritrovare la porta del pozzo di San Patrizio dell'archivio del padre. Una miniera inesauribile, quella da cui attingeva continuo alimento per le sue rivelazioni e forse anche materiale per «aggiustare» qualche biglietto.
Massimo CianciminoCome sarebbe avvenuto per il documento falsificato, utilizzato per accusare l'ex capo della polizia, Gianni De Gennaro, di essere il «signor Franco», un misterioso personaggio dei Servizi legato a don Vito e a Cosa nostra. Un falso costato l'arresto a Massimo Ciancimino, in carcere dal 21 aprile scorso con l'accusa di calunnia aggravata.
Don Vito e Massimo CianciminoL'archivio era in uno sgabuzzino che si trova cinque gradini più su dell'ingresso dell'appartamento di Ciancimino jr, al numero 5 di via Torrearsa, pieno centro del capoluogo siciliano. C'erano cinque scatoloni pieni di carte, appunti autografi, considerazioni e pensieri in libertà di Ciancimino padre. Autentici per quel che riguarda la paternità; non si sa per il contenuto. La Dia l'ha trovato su indicazione dello stesso Massimo, li ha sigillati e portati via.
IngroiaIn tanti anni di perquisizioni e di indagini nessuno mai si era accorto di quel nascondiglio segreto. Né lo stesso Ciancimino ne aveva rivelato l'ubicazione ai magistrati di Palermo, di cui aveva sempre detto un gran bene e che pure gli avevano dato fiducia, nonostante le consegne a rate di una carta dietro l'altra. Un modo di fare che aveva indispettito invece, in maniera irrimediabile, la Procura di Caltanissetta, la prima a indagare per calunnia il superteste, cosa che ha via via creato sempre più attriti con i pm di Palermo, fino alla rottura seguita all'arresto.
GIANNI DE GENNAROLa Dia non aveva trovato nemmeno l'esplosivo che Massimo Ciancimino teneva accanto ai serbatoi dell'acqua, nel giardino di casa. Era stato sempre lui, nel primo interrogatorio dopo il fermo di due settimane fa, a indicare il punto in cui aveva lasciato 13 pericolosissimi candelotti di dinamite da cava, 21 detonatori e diversi metri di miccia. Tenuti in un posto in cui un'esplosione accidentale avrebbe potuto far saltare in aria un intero palazzo.
Toto RiinaNessuno trovava mai niente, nelle abitazioni del figlio del sindaco mafioso. Eppure Ciancimino aveva seminato sospetti e veleni sui carabinieri che, secondo le sue dichiarazioni, non avevano «voluto» trovare la copia originale del «papello», la lista delle richieste che Totò Riina avrebbe avanzato allo Stato per far cessare la stagione stragista del 92. Un foglietto singolo che, a dispetto del suo «valore», sarebbe stato tenuto incustodito in una cassaforte aperta.
MARIO MORIPoi lo stesso foglio sarebbe stato trasferito in una cassetta di sicurezza in Liechtenstein. Ma la Landesbank, l'istituto di credito che avrebbe dovuto custodirlo, ha poi smentito di avere mai avuto una cassetta di sicurezza intestata alla società indicata da Ciancimino jr.
Era tutto lì, invece, cinque gradini più su dell'ingresso di casa Ciancimino, almeno a prestare fede all'ultima versione che ieri mattina lo stesso indagato ha reso ai pm Antonio Ingroia, Nino Di Matteo e Paolo Guido.
Non ci sarebbe altro, ha assicurato Ciancimino jr, ma credergli non è facile. Così come i pm non credono alla versione dello sconosciuto che gli avrebbe recapitato nottetempo l'esplosivo, ribadita nonostante le immagini delle telecamere piazzate dalla polizia attorno al palazzo di via Torrearsa la smentiscano. Martedì Ciancimino sarà di nuovo in aula, al processo Mori.