1 - LE LEGGI AD PERSONAM DELL'EDITORE DI "REPUBBLICA"
Maurizio Belpietro per "Libero"
Non so se Marina Berlusconi abbia intenzione di scendere in campo, subentrando al padre il giorno in cui questi decidesse che è giunta l'ora di riposarsi. Alcuni lo pensano, molti lo temono. Sta di fatto che l'intervista concessa ieri dalla primogenita del Cavaliere al Corriere della sera se non è una discesa in campo è un allenamento preparatorio. Nella paginata di domande e risposte, la presidente di Mondadori parla poco e niente del suo mestiere di editore e imprenditrice. Moltissimo delle questioni politiche che vedono impegnato l'augusto genitore.
La magistratura, il processo Ruby, la stampa di sinistra, Fini e da ultimo Carlo De Benedetti. A questi Marina dedica il meglio del colloquio con Daniele Manca. Anzi: al padrone dell'Espresso la figliola di Silvio dà una vera e propria martellata sul ditino che l'ingegnere punta quotidianamente contro il premier.
DE BENEDETTI BERLUSCONIMa come, Repubblica ci fa ogni giorno la morale, attacca le leggi ad personam che mio padre avrebbe fatto per difendere i propri interessi e poi zitta zitta ne approfitta? Marina non solo ricaccia in gola a Carlito el drito le critiche rinfacciate a papà, ma svela una faccenduola da 45 milioni di euro da tutti ignorata e che il quotidiano tanto caro alla sinistra intellettuale ben si guardava dal rivelare.
Si capisce perché. Quando il governo varò la norma che con un blando patteggiamento consentiva alle aziende già assolte in primo e secondo grado di chiudere il contenzioso con l'erario, Repubblica montò una campagna d'indignazione, sostenendo che la legge era fatta su misura per Mondadori, al fine di consentirle di gabbare il fisco. Inutili le spiegazioni, ovvero che la misura riguardava centinaia di imprese impegolate in una battaglia estenuante, le quali pur avendo ragione avrebbero avuto convenienza a pagare una certa cifra pur di archiviare la faccenda.
Carlo De Benedetti Marina Berlusconi Fedele ConfalonieriPer i nipotini di Scalfari il provvedimento era l'esemplificazione del conflitto di interessi: lo Stato piegato ai bisogni di una sola persona, Berlusconi. La storia fece il giro di scrittori e scrittorucoli, che contro la Mondadori scagliarono una fatwa. Nonostante in molti fossero da essa editi, con gran soddisfazione e ancor più gradita remunerazione, alcuni di loro, tra i quali il teologo progressista Vito Mancuso, proposero per protesta di lasciare in blocco la casa editrice. Ovviamente i più, dopo essersi indignati, preferirono salvare i lauti ingaggi al posto della faccia. Comunque il fango era tratto. Passato un anno, seppellita la polemica ecco che la storia rispunta.
Ma questa volta è Marina che accusa il gruppo Repubblica-Espresso di aver usato lo stesso strumento rinfacciato a Mondadori per archiviare un contenzioso con il fisco. La legge ad personam tanto detestata dai giornalisti di De Benedetti è insomma servita a De Benedetti per farsi in silenzio gli affari suoi.
BELPIETROColpito nel vivo dal cazzotto tirato dalla primogenita del Cavaliere il direttore del quotidiano tabloid ha replicato. «Un conto è usufruire delle leggi della Repubblica italiana, diverso è costruire delle leggi per poter usufruirne. Un conto è inserirsi nella legalità, un altro è intervenire su quella legalità forzandola al punto di costruirsi degli strumenti di cui poi si usufruisce».
In pratica Eziolo Mauro riconosce che la norma in sé non è sbagliata e anzi semplifica le mene fiscali con cui in questo paese vengono angariate le imprese, sottoponendole a mille controlli (a proposito: meno male che Tremonti s'è deciso a porvi un argine; un industriale non può essere vessato da decine di ispezioni ogni anno). Però poi se la prende con il Cavaliere perché, avendo toccato con mano da imprenditore che certe cose non vanno, suggerisce delle soluzioni. Non va, non si fa così, moraleggia il direttore della Repubblica, alzando il ditino e rimproverando a Berlusconi di occuparsi degli affari suoi. Giusto. Bravo.
Ma già che c'è, Mauro dovrebbe ricordare che il primo a fabbricarsi leggi su misura non fu il premier, ma un uomo a lui tanto caro, ovvero Carlo De Benedetti. Quand'era padrone della Olivetti, cioè prima del disastro cui portò l'azienda di computer, le cose andavano maluccio. Oltre a piazzare un certo numero di telescriventi inutili alle Poste, in cambio di un congruo incentivo ai postini capo, l'ingegnere si fece fabbricare una norma che imponeva a tutti i negozi di dotarsi di un registratore di cassa, una macchinetta che l'Olivetti guarda caso era pronta a fornire.
berlusconi-debenedettiIndovinate chi fu il ministro che impose tale provvedimento? Carlo De Benedetti? No, sbagliato. A partorire la disposizione degli scontrini obbligatori, col tempo messa in soffitta, fu Bruno Visentini, per vent'anni presidente della Olivetti, repubblicano e manco a dirlo uomo assai vicino all'ingegnere di Ivrea. Morale della storia: meglio non puntare il dito contro il Cavaliere, caro Ezio, altrimenti con l'editore che ti ritrovi rischi la falange.
2 - RISCHIA LA "SALVA-MONDADORI"...
Stefano Feltri per "il Fatto Quotidiano" dell'11 agosto 2010
La guerra di Segrate per il controllo della Mondadori continua, ma è durata così a lungo - vent'anni - che ormai assume forme sempre più strane. Per un caso del destino, un vecchio guaio fiscale di Carlo De Benedetti è diventato l'occasione per bloccare il regalo del governo Berlusconi alla Mondadori (che è della Fininvest, cioè la holding che fa capo proprio a Silvio Berlusconi).
I giudici della Cassazione, partendo dal procedimento che riguarda gli ex partner di De Benedetti della 3M Italia, fanno ricorso alla Corte di Giustizia europea, per bloccare la norma "ad aziendam" che permette alla Mondadori di risolvere un contenzioso con il fisco da 200 milioni pagandone solo 10. E tutto questo mentre la Cassazione - e proprio il procedimento Mondadori - sono al centro dell'inchiesta sulla cosiddetta P3. Ma partiamo dall'inizio.
debenedettiDOPO SEGRATE
Nel 1991 la Fininvest di Silvio Berlusconi riesce a sottrarre la Mondadori a Carlo De Benedetti grazie a una sentenza che tre gradi di giudizio hanno stabilito essere stata comprata, con i giudici corrotti da Cesare Previti nell'interesse della Fininvest. Grazie all'imprenditore Giuseppe Ciarrapico, mandato da Giulio Andreotti, si trova una mediazione: a De Benedetti restano L'espresso, Repubblica e i quotidiani locali, in quel momento parte della Mondadori, a Berlusconi tutto il resto. Vent'anni dopo non è ancora finita, pende ancora un risarcimento da 750 milioni di euro che la Fininvest potrebbe dover pagare alla Cir di De Benedetti.
Una vicenda marginale di quello scontro riguarda un contenzioso della Mondadori con il fisco, derivante da una fusione interna al gruppo seguita alla guerra di Segrate. Lo Stato chiede alla Mondadori 200 milioni di euro per plusvalenze non contabilizzate in una fusione tra due holding (operazione preliminare al passaggio delle testate giornalistiche a De Benedetti). Mondadori vince il primo e il secondo grado di giudizio, ma lo Stato non si arrende, nel 2000 la vicenda finisce in Cassazione: a firmare il ricorso per conto della Mondadori è un famoso fiscalista, l'avvocato Giulio Tremonti.
Dieci anni dopo Tremonti è ministro dell'Economia; mentre sta approvando la Finanziaria 2010 compare un emendamento che si presenta come un condono mirato: i soggetti che hanno contenziosi aperti con il fisco, hanno vinto i primi due gradi e sono in Cassazione, possono sanare la propria posizione pagando solo il 5 per cento del dovuto. E' l'identikit della Mondadori, che se la caverebbe con 10 milioni. Il blitz salta, lo ferma Gianfranco Fini, presidente della Camera.
EZIO MAUROLa Procura di Roma, nelle carte dell'inchiesta sulla nuova loggia P3 ipotizza che a quel punto un gruppo di soggetti che agisce nell'interesse di Berlusconi sceglie un'altra strada. I pm attribuiscono il trasferimento (28 ottobre 2009) dal giudice competente alle sezioni unite alle pressioni su Vincenzo Carbone, primo presidente della Cassazione fino a gennaio e quindi presidente delle sezioni unite, fatte da Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi, due degli esponente più attivi della cosiddetta P3.
In cambio a Carbone sarebbe stato promesso uno slittamento di tre anni della pensione (obbligatoria a 75 anni). Per Berlusconi era anche il candidato ideale alla presidenza della Consob. Se le cose sono andate come dice l'accusa, la norma serve a guadagnare tempo. In primavera i parlamentari Pdl tornano all'assalto e la norma salva-Mondadori diventa legge a maggio, come emendamento al decreto sugli incentivi.
TUTTO INUTILE?
Ma forse è stato tutto inutile. Il primo ad approfittarne non è però Berlusconi, bensì un partner d'affari di De Benedetti negli anni Novanta, 3M Italia. Lo si apprende solo ora perché il 4 agosto la Cassazione, presieduta da Ernesto Lupo, ha depositato un'ordinanza con cui si chiede alla Corte di Giustizia europea di pronunciarsi sulla norma "salva-Mondadori", per stabilire se è compatibile con la normativa comunitaria. La storia comincia nel 1996. La Procura di Ivrea chiede il rinvio a giudizio di varie persone, tra cui Carlo De Benedetti allora alla testa dell'Olivetti, per una presunta elusione fiscale da 43 miliardi di lire dell'epoca.
La debenedettiana Olivetti, secondo l'accusa, si era prestata a una complessa operazione finanziaria con la quale due società americane, la 3M e la Shearson Lehman usavano una filiale italiana, la 3M Italia, per pagare meno tasse sui dividendi. L'Olivetti incassava i dividendi della 3M Italia, controllata della 3M, per conto della Sherman. Si chiama dividend washing. La vicenda penale si chiude per De Benedetti nel 1997, quando viene prosciolto "perché il fatto non sussiste".
Ma il fisco la pensa diversamente. Nel 2005 la sezione tributaria della Cassazione stabilisce che ha ragione lo Stato a chiedere indietro i soldi alla Olivetti, nel 2010 è ancora in pista il contenzioso tra il Tesoro e la 3M: lo Stato reclama 43 milioni di euro. I vecchi partner di De Benedetti nell'operazione considerata legittima dalla giustizia penale ma truffaldina dal fisco erano stati fulminei: a meno di una settimana dall'entrata in vigore della "salva-Mondadori" stavano già approfittandone per chiudere il contenzioso pagando soltanto 1,1 milioni su 43.
bruno visentiniIL DIRITTO UE
Ma la Cassazione protesta. Secondo i magistrati della sezione contabile, il regalo governativo alla Mondadori si configura come un abuso di uno dei principi su cui si regge il mercato unico europeo, cioè la libertà di movimento dei capitali. In pratica, dicono i giudici, l'Italia rinuncia all'impegno di "reprimere pratiche abusive", rinunciando quasi del tutto alle "pretese impositive".
E questo, stando al testo della legge, non è motivato da ragioni di politica economica, ma è una resa di fronte ai tempi lunghi della giustizia. Se la Corte di Strasburgo darà ragione alla Cassazione, il condono pensato e approvato per la Mondadori non sarà applicabile. E De Benedetti, che ancora aspetta i 750 milioni di euro di risarcimento dalla Fininvest, avrà almeno un'occasione di esultare in questa ennesima puntata della guerra iniziata a Segrate vent'anni fa.