1. VIAREGGIO: PROCESSO PER I 32 CARBONIZZATI MA IL COMUNE NON SI FA VEDERE - IL COMMISSARIO NEGA IL GONFALONE, I PARENTI DELLE VITTIME INSORGONO
Maria Vittoria Giannotti per "La Stampa"
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Un corteo composto e silenzioso, dove a parlare sono le foto di chi non c'è più. Nel giorno dell'udienza preliminare del processo per la strage ferroviaria di Viareggio, i familiari delle trentadue vittime, prima di entrare in aula, ricordano i loro cari con uno striscione.
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«Uccisi» è la scritta che campeggia sotto i volti sorridenti delle persone che la sera del 29 giugno del 2009 persero la vita nel rogo di via Ponchielli, la strada spazzata via dall'esplosione del carro cisterna che trasportava gpl. In molti hanno portato i disegni dei bambini delle scuole nel tentativo di rielaborare una ferita che la città, dopo quasi quattro anni, non può e non vuole dimenticare.
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L'udienza si è tenuta in uno dei locali del polo fieristico: il tribunale, che ha sede nel centro storico, non aveva spazi sufficienti per ospitare tutti. In sessanta hanno chiesto di costituirsi parte civile: tra questi, i parenti delle vittime ma anche la Presidenza del Consiglio, la Cgil (con il segretario Susanna Camusso), alcune associazioni come Medicina Democratica, la Regione Toscana, la Provincia di Lucca e il Comune di Viareggio. Ma ieri, in aula, non c'erano rappresentanti del Comune.
«Il commissario Domenico Mannino - spiegano dell'associazione di famigliari delle vittime - ci ha scritto per dirci che non sarebbe venuto per non urtare la Corte con la propria presenza, aggiungendo che ci è vicino con il cuore. È una vergogna, siamo rimasti a dir poco allibiti».
I legali dei trentadue imputati - tra cui l'ad di Ferrovie, Mauro Moretti, funzionari e vertici delle altre società del gruppo Fs, della proprietaria del convoglio, la Gatx, delle ditte di revisioni Cima e Jugenthal, tutti assenti - hanno chiesto tempo per esaminare le richieste: la decisione dei giudici è attesa per il 2 aprile quando riprenderà l'udienza.
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Non sono mancati i contrattempi anche sul fronte strettamente giudiziario: le posizioni di quattro società - Rfi, Trenitalia, Fs Logistica e Cima - e di un imputato, sono state stralciate per un difetto di notifica.Le difese hanno sostenuto di non aver ricevuto la mail con cui la procura avrebbe dovuto notificare la chiusura delle indagini. Per i magistrati ci sarebbe stato un accordo con i difensori in base a cui, quelli privi di posta certificata, avrebbero ricevuto semplici mail accompagnate da una lettera cartacea. Intanto il procuratore Aldo Cicala rassicura: «I tempi non si allungheranno».
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Le posizioni stralciate saranno riunificate agli altri imputati a fine maggio. Intanto accusa e difesa si scontrano sulle cause dello squarcio nella cisterna. Per i periti del gip, e per i consulenti di Fs, a provocarlo fu l'impatto con un componente indispensabile dello scambio. Per la procura fu lo scontro con un picchetto usato per la segnaletica, la cui pericolosità sarebbe stata sottovalutata da Fs.
2. LA MAMMA E IL PREFETTO DI FERRO TRA DOLORE E RAGIONE DI STATO
Pierangelo Sapegno per "La Stampa"
«Non dimenticherò mai la sua ultima telefonata. Mi disse: "Mamma, c'è stato un grande incendio, sono all'ospedale, ma sto bene". Da quella volta non l'ho più rivista sveglia». Si chiamava Emanuela Menichetti, aveva 21 anni. È morta per le ustioni riportate nella strage del treno merci 50325, esploso alla stazione di Viareggio il 29 giugno 2009, dopo più di quaranta giorni senza conoscenza.
L'unica immagine rimasta oggi è quella di una ragazza che sorride da una foto che sua madre, Daniela Rombi, non ripone mai e porta sempre con sé, anche adesso, davanti al polo fieristico di Lucca, a questo edificio così asettico, dove sta per cominciare il processo. Hanno messo uno striscione accanto al lenzuolo rettangolare steso sulla parete con il ritratto terribile di quella tragedia e di quell'incubo, uno striscione bianco con una scritta a caratteri cubitali: «Comune di Viareggio assente».
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Perché ci sono tutte le parte civili meno questa, ci sono tutti gli altri comuni vicini, c'è la Regione, c'è la Provincia, c'è persino la Presidenza del Consiglio dei Ministri attraverso l'avvocatura dello Stato, ma non c'è Viareggio. L'ha deciso Domenico Mannino, che da qualche mese è il commissario prefettizio di una città che era governata da Luca Lunardini del pdl, fino a quando non aveva perso i piezzi di qualche transfuga e del Fli, uscito di giunta. Domenico Mannino dice: «Io sono un uomo delle istituzioni, non potevo presentarmi lì con il gonfalone, per rispetto verso la Corte».
Daniela Rombi, la mamma di Emanuela, fondatrice dell'associazione dei familiari delle vittime «Il mondo che vorrei» dice che lo potrebbe anche capire: «Ma noi non meritiamo lo stesso rispetto?». Un uomo e una donna contro. L'ex prefetto e la madre. Il rispetto e il dolore.
Comincia così un processo già cominciato male, come ricordava prima di entrare in aula Roberto Pellegrini, 75 anni, scampato per miracolo a quella tragedia e a quelle fiamme: «Quattro anni per cominciare e poi quanti altri per avere un po' di giustizia? Cinque, sei anni? Non credo ne basteranno 10 alla fine. Ma qua ci sono tutte le foto dei morti e questi sono i fatti». Stanno lì, 32 foto, 32 facce, 32 vittime. Viareggio fu come colpita improvvisamente da una meteora esplosa alla stazione tra i vagoni con la cisterna di gas sul treno merci Trecate-Gricignano.
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Emanuela era in una casa vicino alla stazione e fu raggiunta fin lì dalle fiammate. Loro adesso sono qua «a sfilare silenziosi», dice sua madre Daniela. «Faremo di tutto perché questa tragedia non venga dimenticata né dai media né dalle giunte comunali. Non vogliamo vendetta ma giustizia, e un cambiamento di questo sistema marcio che ha fatto dei soldi la sua ragione d'essere anche a discapito dell'incolumità dei cittadini».
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Così qualche mese fa aveva già radunato tutte le parti civili per aggiornarle sul processo. Aveva chiamato il commissario Mannino e altri tre suoi collaboratori della giunta di Viareggio: ma non si era presentato nessuno. «Ci avevano detto tutti che avevano già degli impegni e si scusavano, ma non potevano. Vergogna e vergogna! Il commissario Mannino e i suoi si sono già dimenticati della strage?». Era il 3 settembre, quasi sette mesi fa, e Daniela Cambi aveva stilato un documento di condanna molto duro.
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Mannino ha 66 anni, uomo del Sud, calabrese, eppure algido, prefetto di ferro in molte città della Toscana. Daniela Rombi è una donna carina, ancora giovane, che il dolore non ha indurito, ma quasi impietosito, nella passione e nella sua disperazione, per avere qualcosa che chissà se arriverà mai. In fondo, a modo loro, sono due personaggi persino letterari, così diversi e così distanti.
Lui spiega che «il gonfalone del Comune al processo non è un atto istituzionale. La tragedia che la città ha avuto non può essere portata nelle aule di un tribunale». È vero. Ma sembra la faccia dello Stato quando è dura. Chissà se mostrano la stessa faccia con i poteri che sbagliano. Lei non lascia mai la foto di sua figlia. Dice: «Ma noi chi siamo?». Già. Chi sono?