Ingrid Sischy e Sandra Brant per Vanity Fair, in edicola domani
LIBRO-LINDA-MCCARTNEYNata nel 1941, con il nome di Linda Eastman, da un'agiata famiglia ebraica newyorkese. Cresciuta nel ricco sobborgo di Scarsdale, Westchester County. Morta di cancro al seno nel 1998. Nel mezzo, il cambiamento di cognome: Linda McCartney, come Paul McCartney, il Beatle di cui si innamorò nella magica estate del 1968, che ebbe da lei tre figli - Mary, Stella, James - e che, smantellati i Beatles, la volle con sé nell'avventura dei Wings.
Linda, in tutto questo, non smise mai di fare una delle cose che più le piacevano: fotografare. Negli ultimi anni solo per passione, nei primi anni anche per lavoro. Linda McCartney è stata una delle più importanti testimoni del mondo musicale degli anni '60. Le sue immagini sono rimaste a lungo seminascoste.
foto di Linda McCartney da Vanity FairTornano ora, con il titolo "Linda McCartney. Life In Photographs", in un libro che Alison Castle non avrebbe potuto mettere insieme senza l'aiuto di tre curatori speciali. Paul, Mary, Stella. Questa - raccolta da Ingrid Sischy e Sandra Brant, International Editors di Vanity Fair - è la loro testimonianza. Linda ha scattato migliaia di fotografie. Ma, a parte i pochi libri pubblicati quando era viva, il suo lavoro è rimasto in gran parte un tesoro nascosto. Questo volume ne svela finalmente una parte. Perché proprio ora?
Stella: «Un paio di anni fa, a una cena, ero seduta di fianco a Benedikt Taschen, l'editore, e gli ho detto, così, senza pensarci: "Dovrebbe fare un libro con le foto di mia madre". Ed ecco che è successo davvero. La cosa bella è che alla fine è diventato un triangolo, io, papà e Mary, al lavoro assieme su questo progetto».
Paul: «Perché proprio ora? Domanda difficile. A me nella vita capita sempre così, a un certo punto penso: sì, il momento giusto è questo; con il libro è andata così. L'altro giorno qualcuno mi ha chiesto: "Che effetto ti fa sfogliare questo libro?". Chiaramente c'è tristezza, perché Linda non è qui a condividerlo con noi. Ma il sentimento prevalente è la gioia degli attimi che ha saputo catturare. Ecco perché dico che il momento giusto è questo: ora riusciamo a vedere le fotografie per quello che sono, e non più come tristi ricordi della perdita di Linda».
foto di Linda McCartney da Vanity FairOgnuno di voi tre avrà un modo diverso di guardarle.
Paul: «Beh, prima di tutto io c'ero quando molte di queste foto sono state scattate. Ci sono anche immagini precedenti al nostro incontro, ma per me sono familiari perché ero con lei mentre le sceglieva e le lavorava. Ricordo i provini - belli grandi, non quelli minuscoli che ti devi accecare con il lentino: li stendeva sul pavimento e li guardavamo insieme. "I Grateful Dead!", esclamavo. Poi lei mi raccontava delle chiacchierate con Frank Zappa, di com'era fatta la sua stanza, tutte quelle storie. Il suo lavoro, soprattutto quello sui musicisti degli anni '60, è secondo me la rappresentazione definitiva di quel periodo.
Nessuno sapeva rilassare i personaggi come lei. Sapeva tutto degli artisti che fotografava, del loro talento. Non solo conosceva la loro musica: la amava. Quando scattava B.B. King, lo scattava da fan. E poi, grazie a suo padre, aveva una profonda conoscenza della pittura. Si vede nei suoi ritratti di famiglia, nei suoi paesaggi. Ovviamente io li guardo con gli occhi del compagno, dell'amante, del padre. Ho ricordi totalmente diversi da quelli di Stella e Mary, ed è proprio la combinazione dei nostri tre punti di vista a rendere interessante il lavoro che abbiamo fatto».
foto di Linda McCartney da Vanity FairStella: «Siamo stati molto protettivi verso le fotografie della mamma, perché sembrano sempre il risultato del suo personalissimo sguardo su un momento. Anche in quelle scattate per essere pubblicate, era come se catturasse qualcosa di privato. Poi però, riguardando i libri che aveva pubblicato, ho visto che ci aveva messo dentro anche alcune di quelle immagini personali, quindi penso che le avrebbe fatto piacere sapere che la gente può apprezzare il suo lavoro. Tutto sta nell'equilibrio: mostrare, ma non troppo».
Mary: «A me interessava far vedere il legame tra il suo lavoro e la sua vita, l'evoluzione dei suoi interessi, e credo che alla fine ci siamo riusciti. Mamma fotografava tutto ciò che catturava la sua attenzione. Che fossero situazioni surreali o iconiche o familiari».
foto di Linda McCartney da Vanity FairPerché, secondo voi, Linda a un certo punto abbandonò il mondo della musica per concentrarsi sui paesaggi e sulla famiglia?
Mary: «Credo che la musica avesse perso, ai suoi occhi, la spontaneità di un tempo. Erano entrati in gioco gli avvocati, gli addetti stampa, le riviste che commissionavano i servizi. Quando aveva iniziato a scattare, i musicisti non erano ancora macchine da soldi. I Doors, Jim Morrison, Jimi Hendrix stavano emergendo, ma erano ancora abbastanza underground. La mamma non aveva a che fare con l'entourage, con la parte commerciale.
Le dicevano, semplicemente: "Oggi registriamo, vieni?". Anche i media erano diversi, e i personaggi non avevano motivo di essere diffidenti come sono oggi. E poi a lei non interessava sfruttare i personaggi, voleva che fossero contenti delle foto, che si fidassero. Quando i giornali iniziarono a chiederle di diventare più aggressiva, di dedicare più tempo alle pubbliche relazioni, lei gradualmente abbandonò i servizi su commissione e si dedicò al lavoro personale.
foto di Linda McCartney da Vanity FairOrmai era sposata, si chiamava Linda McCartney, e non poteva certo essere anonima come agli inizi. Era anche una mamma, però non rinunciava al bisogno di esprimersi artisticamente. Anche quando era nei Wings, non smise mai di fotografare. I suoi soggetti erano cambiati - ormai quasi solo i familiari, gli amici, le cose che la circondavano - ma il suo occhio e il suo approccio erano rimasti gli stessi. Scattava rapidamente, senza tenere a lungo la macchina fotografica davanti agli occhi: così non avevi la sensazione che nella stanza ci fosse qualcuno che continuava a scattare. Volevi quasi posare per lei, tanto era indolore.
Mamma, però, non fotografava mai a vuoto: c'era sempre una ragione. Aveva visto una luce in te, era stata catturata da qualcosa che stavi facendo».
Stella: «Era silenziosa, e poco tecnologica. Niente assistenti, niente misuratori di luce, semplicemente un clic. Non ricordo nemmeno di essere stata fotografata da lei, ma le foto - terribili, degli anni '80 - ci sono, e devo guardarle con distacco e giudicarle per quello che sono: momenti di emozione, umorismo, amore».
Non sentiva mai la mancanza dell'ambiente che aveva lasciato? Non pensate che a volte rimpiangesse i suoi giorni di fotografa richiestissima nel mondo della musica?
Paul: «Credo, al contrario, che fosse felice di saperli finiti. La sua nuova fase professionale le appariva come un prolungamento della vita che stava - che stavamo - facendo. Anche perché lei era un po' una di quelle persone che dicono: "Questo l'ho già fatto, passiamo ad altro". Una ribelle».
Mary: «Prima di essere fotografa, era stata una patita del rock. Mi raccontava di quando, ragazzina, nascondeva una radio sotto il cuscino, di notte, perché non le permettevano di ascoltare quella musica. Di quando scappava dalla finestra per attraversare New York, camminare per le strade di Harlem e godersi un concerto all'Apollo Theater. La sua famiglia la considerava un po' sciroccata per via dei suoi gusti musicali, che venivano giudicati "pericolosi". Li doveva nascondere, ma non riusciva certo a domarli. E quando andò al college in Arizona con un'amica, capitò per caso in un corso di fotografia, e capì che quella era la sua vita».
Come iniziò a scattare sul serio?
Mary: «Lavorava come segretaria nella redazione di Town & Country. Smistando la posta, trovò un invito a una presentazione dei Rolling Stones, in un battello sul fiume Hudson. Lo lasciò scivolare dentro il suo cassetto».
Paul: «Invece di consegnare l'invito al legittimo destinatario, lo tenne per sé, e si presentò all'evento senza avvisare nessuno. A quei tempi, una bella ragazza bionda era l'unica persona per la quale i Rolling Stones avrebbero volentieri posato. Tutti gli altri fotografi aspettavano sul molo quando gli Stones dissero: "La ragazza può salire a bordo". E basta guardare gli scatti per capire che con lei ci provavano pesantemente. C'è un ritratto di Brian Jones che mi piace tantissimo. È proprio lui, fino in fondo: gambe aperte, abbandonato sulla schiena, lo sguardo che dice: "Vieni a prendermi, piccola".
foto di Linda McCartney da Vanity FairE poi Mick con la testa che spunta da una tenda. Momenti spontanei che lei sapeva catturare, e all'epoca foto così non si facevano. Bastò un giretto nella baia ed ecco che Linda aveva un set di immagini esclusive, e soprattutto una strada che metteva insieme le sue due passioni, la fotografia e la musica. Capì che la sua vita poteva essere quella».
Mary: «Quando sbarcò i giornalisti facevano a gara per darle il biglietto da visita: "Facci sapere quando sono pronte le foto". Le riviste gliele comprarono. A pensarci oggi, non riesco a credere che abbia avuto quella faccia tosta».
Stella è una stilista, Mary una fotografa: pensate di essere state influenzate dal lavoro di vostra madre?
Stella: «Assolutamente. Il suo spirito fa parte di tutto quello che faccio, della donna che voglio raggiungere, della donna che voglio essere. La sua fotografia rifletteva il suo modo di essere al tempo stesso forte e silenziosa. Le sue non sono immagini costruite: hanno una bellezza naturale, una sicurezza naturale. E questo modo di lavorare sicuramente mi ha influenzata. Di lei adoro ogni sfaccettatura, quelle del lavoro e quelle dell'essere umano. Mia madre è tutto ciò che vorrei creare, imitare, essere».
Mary: «Lei mi ispira, decisamente. Aveva attaccato a tutti noi il virus della fotografia. Ma, scartabellando i suoi archivi per questo libro, mi sono resa conto per la prima volta di una cosa: i suoi provini non sono ripetitivi, di ogni situazione le bastavano un paio di scatti per trovare quello giusto. Il suo stile era così informale e sottotono che, crescendo, ci siamo abituati a darlo per scontato: "La mamma ha una macchina fotografica, tutto qua". Come se fosse davvero così semplice, solo perché lei lo faceva sembrare tale. Ma quando provi a imitarla, ti rendi conto di quanto geniale fosse».
Il senso dell'umorismo è un altro tratto familiare. Le immagini di Linda ne sono
piene.
Paul: «Per forza: ne era piena lei. Era una regina, ma una regina rilassata. Capace di un senso dell'umorismo molto laconico».
Mary: «Ridere piace a noi tutti, e a volte lei ci fotografava solo per ridere. Le dicevo: "Non è giusto", e scoppiavo».
Stella: «Abbiamo riso molto anche lavorando al libro. Alcune delle foto hanno non solo un valore artistico, ma anche una forte carica comica. Soprattutto quelle che catturano la vita di famiglia. Sono molto fiera di mia madre. E penso che lei sarebbe fiera di questo libro. Sorpresa, forse. Direbbe, magari: "Non pensavo di essere una fotografa così fottutamente brava". Era brava, sì, perché permetteva ai personaggi di avere il loro momento di gloria. Basta guardare agli scatti di papà con John Lennon, dove si vede quanto si divertivano insieme. Si parla sempre male del loro rapporto negli ultimi anni, però mamma è stata capace di catturare i momenti felici. Tanto di cappello».
Se doveste scegliere il suo maggior pregio, quale sarebbe?
Paul: «La sua personalità, forse. Stiamo tutti parlando del suo lavoro, ma quello che lo pervade è la sua personalità. Linda era una ragazza davvero speciale. Certo, aveva avuto un'infanzia privilegiata, la bella casa a Scarsdale, Westchester County. Ma quando pensavi di avere capito tutto, arrivava la sorpresa. Come faceva, quella bellissima ragazza bionda, a capire che cosa significa essere tagliato fuori? Era lei stessa a spiegartelo: "Abitavo nel posto più privilegiato che c'è, ma da bambina non potevo entrare al country club, non potevo andare in piscina. Gli ebrei non erano ammessi". Ecco da dove veniva Linda».