Francesco Manacorda per "La Stampa"
CESARE GERONZI"Oggi sono in due a dire di non aver mai avuto poteri esecutivi. Uno è Gheddafi». La battuta un po' perfida che gira sull'asse Trieste-Roma ha perlomeno il merito di fotografare puntualmente il livello della tensione in casa Generali.
Da una parte il presidente Cesare Geronzi, accusato di comportarsi da padrone della compagnia, anche se sabato scorso ha per l'appunto rivendicato la scelta di «non avere mai avuto nella mia vita ruoli esecutivi. Non li ho pretesi, né li ho qua, né li voglio».
Dall'altra alcuni azionisti e consiglieri del Leone - primo fra tutti Diego Della Valle - insofferenti del ruolo che Geronzi si è ritagliato. In mezzo, stretto in una situazione difficile, il management, guidato da Giovanni Perissinotto. Al Ceo tocca fare i conti pure con quei 300 mila azionisti delle Generali - tra piccoli risparmiatori e grandi fondi internazionali - che occupano pochi strapuntini nelle stanze del potere ma che gradirebbero anch'essi vedere chiarezza di strategie e univocità di messaggi da parte della compagnia.
DELLAVALLE GERONZI imagesCosì adesso la richiesta di rinvio a giudizio di Geronzi per il caso Cirio rischia di trasformare i gagliardi venti di discordia che già soffiano a Trieste in una Bora come quella che ieri ha spazzato la città a più di 170 chilometri l'ora. Certo, l'atto è solo uno dei primi passi di un iter giudiziario tutto da scrivere e come sempre è valida, anche nelle più accese baruffe consiliari, la presunzione d'innocenza.
geronzi-della valleEd è vero pure che ieri fonti vicine allo stesso Geronzi, oltre ad esprimere a fiducia di prammatica nel fatto che la giustizia «riconosca la correttezza dell'operato del presidente», hanno anche ricordato che «tutte le volte che la sua condotta, nell'esercizio dell'attività di banchiere, è stata sottoposta al vaglio della magistratura, essa è risultata sempre corretta, con la conseguenza della dichiarazione di non colpevolezza».
Come a dire che nonostante i tanti inciampi sulla sua strada il presidente non è mai caduto. Detto questo, un'eventuale condanna in primo grado potrebbe avere effetti poco graditi per Geronzi. In che modo? Prima di tutto perché rischierebbe di diventare un ostacolo sulla strada - ancora lunga, mancano due anni - alla sua riconferma per un altro mandato alla presidenza del Leone.
perissinotto giovanniE più nell'immediato potrebbe spingere - questa è la preoccupazione che circola a Trieste - a una certa disaffezione verso il titolo da parte dei mercati internazionali dove già da un paio di settimane il ruolo del presidenteesternatore è finito nel mirino degli analisti e dei grandi fondi.
Ma che cosa accadrebbe in consiglio se Geronzi dovesse essere condannato in primo grado per il caso Cirio? Dal punto di vista formale assolutamente nulla, a differenza di quanto accadde quando il banchiere di Marino era alla presidenza di Capitalia e alla vicepresidenza di Mediobanca.
CRAGNOTTI bigIn quei due casi, infatti, Geronzi era soggetto ai requisiti di onorabilità per il settore bancario che in caso di condanna, anche solo in primo grado, prevedono la sospensione dalla carica e la riammissione previo via libera dell'assemblea dei soci. Cosa che regolarmente accadde in entrambe le occasioni: in Capitalia, dopo la condanna in primo grado per il caso Italcase-Bagaglino( a cui seguì l'assoluzione in Appello nel 2009), Geronzi fu sospeso dal cda nel dicembre 2006 e reintegrato dall'assemblea nel gennaio 2007.
CESARE GERONZI GIANNI LETTAE praticamente in simultanea lo stesso iter, per il medesimo procedimento, si svolse in Mediobanca, nel cui consiglio il banchiere sedeva come vicepresidente. Da entrambi gli istituti Geronzi era stato poi sospeso in contemporanea nel febbraio 2006, quando il Tribunale di Parma, che lo indagava per i casi Parmatour e Ciappazzi, decise la sua interdizione dall'esercizio di «uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese» per due mesi.
SCAJOLANelle assicurazioni, invece, niente di tutto questo: un'eventuale sospensione dal consiglio delle Generali, secondo fonti legali, potrebbe scattare solo dopo una condanna definitiva. Che, considerati i tempi della giustizia, è come dire mai. Da anni, del resto, si inseguono le proroghe al termine dentro il quale le norme sulle società assicurative andrebbero conformate a quelle bancarie.
MARIO DRAGHILa questione era in mano al ministero dello Sviluppo economico, dove per mesi e mesi - tra l'altro anche a cavallo di quell'assemblea dell'aprile 2010 che potrò Geronzi dal vertice di Mediobanca a quello di Generali - si dava continuamente per imminente l'arrivo di un «decreto Scajola» che avrebbe stabilito requisiti sulle assicurazioni.
Poi Scajola è finito travolto dalla sua casa con vista Colosseo e del decreto si è persa traccia. Adesso - come ha riportato Riccardo Sabbatini sul Sole 24 Ore - è il Financial Stability Forum, guidato da Mario Draghi, a mettere in evidenza che sulle norme per gli assicuratori l'Italia ha «un periodo di gestazione piuttosto lungo» e dunque, in presenza di incidenti giudiziari, fare l'assicuratore resta più semplice che essere banchiere.