Giuliano Ferrara per Il Giornale
Solo con la voluttà della calunnia, e con il corrispondente piacere della giustizia politica, può spiegarsi l'infame storiaccia di Massimo Ciancimino e dei suoi bardi.
Arrestato per calunnia e truffa pluriaggravata, il figlio del corleonese don Vito da quasi tre anni pontificava con il bollo della Procura di Palermo, del suo numero due, il dottor Antonio Ingroia, il magistrato che fa comizi in piazza contro le leggi all'esame del parlamento, il professionista dell'antimafia che ha la libido da con¬vegno, da manifesto politicoideologico, e che usa il suo delicatissimo potere d'indagine e di accusa mescolando¬lo con un attivismo politico fazioso in forma incompati¬bile con la Costitu¬zione e la legge della Repubblica.
cianciminoGiuliano Ferarra(Il caso Lassini, al confronto, fa sorridere, e bisognerà pure che Milano torni ad essere una capitale della libertà, capace di ribellarsi contro l'oscurantismo borbonico di una giustizia piegata a servire le traversie della politica politicante. Caro sindaco Moratti, lei fa benissimo a impegnarsi per una competizione in cui il volto moderato e ragionevole della sua maggioranza emerga contro ogni manipolazione interessata, ma mi aspetto da lei e dalla borghesia colta che la sua maggioranza rappresenta una parola chiara su una grande questione mi¬lanese e nazionale: lo strame che si fa della giustizia).
Massimo Ciancimino non è un pentito, non rientra nella controversa categoria di coloro che pretendono di aver aiutato a fare giustizia con rivelazioni in qualche modo riscontrate e capaci di mettere in scacco la delinquenza or¬ganizzata di tipo mafioso. È invece un teste d'accusa sul¬la cui attendibilità, in modi azzardati e avventurosi, alcuni Pm diretti da Ingroia hanno fatto la scommessa della loro vita professionale, portandolo per mano nel circui¬to mediatico giudiziario, con l'aiuto di Michele Santor¬o e altri professionisti dell'informazione obliqua, insinuante, della macchina del fango (come impudentemente dicono, per ritagliarla sugli altri), dentro una narrazione calunniosa che ha investito lo Stato, i governanti, la politica e infine il capo e coordinatore dei servizi di si¬curezza e di informazione sui quali si fonda la credibilità degli apparati della forza e del¬l'ordine repubblicano.
ciancimino berlusconi papello Il pizzino collage di CianciminoSotto scorta e as¬sistito dai suoi direttori spirituali e giudiziari, per me¬si e mesi il figlio di don Vito ha infangato Berlusconi, presidente del Consiglio; il senatore Dell'Utri, uno che sta per pagare con molti anni di galera la tra¬sformazione calunniosa delle sue amicizie controverse in un reato penale da Paese borbonico (concorso esterno in mafia); Nicola Manci¬no, già presidente del Senato e ministro dell'Interno e vice¬presidente del Consiglio su¬periore della magistratura;
Giovanni Conso, giurista e già ministro di Grazia e Giu¬stizia; il generale Mario Mori, l'eroe italiano che arrestò il capo della mafia; infine il prefetto De Gennaro, per anni capo della polizia, un uomo che ha lavorato contro la mafia con Falcone in modi contro¬versi ma efficienti, e che ora fa parte, agli occhi dei suoi nemici, di un odiato apparato di governo della Repubblica.
E molti altri, secondo le convenienze d'occasione. Serve un colpetto al grup¬po dei deputati che è entrato a far corpo con la maggioranza politica che gover¬na il Paese? Ecco una propalazione pronta sul ministro appena nominato Saverio Romano, da tredici anni sotto indagine per mafia e da tenere ancora sulla graticola anche grazie alle parole vaghe, generiche ma velenose e insultanti e infanganti del ventriloquo di un padre morto da anni, che fa parlare al cospetto della giustizia i fantasmi della passione politica faziosa, al servizio di chi non si sa, ma per mezzo di quali avalli giudiziari e mediatici lo si sa benissimo.
Antonio IngroiaTravaglio e PM Ingroia sotto l'ombrellone - Da PanoramaIl dottor Ingroia è arrivato alla delicatezza lettera¬ria di scrivere la prefazione al libro di calunnie del figlio di don Vito. Se una peri¬zia non a¬vesse svelato il carattere truffaldino di questa testimonianza, chissà do¬ve sarebbe arrivato il terzetto Ciancimi¬no-Ingroia-Santoro. Questo tizio che ora è in carcere per calunnia e truffa, per aver fatto operazi¬o¬ni di copia e incolla su vecchi documen¬ti fotocopiati per incastrare chi-sa-lui con il bollo della giustizia, è già finito a pagina 21 di Repubblica e a pagina 27 del Corriere della sera .
L'insabbiamento del caso è già in pieno corso. I giornalisti giudiziari che hanno usato le sue carte false, e accompagnato con la loro opero¬sa attività cronistica la scandalosa promozione del suo ruolo di «icona dell'antimafia », hanno già girato la frittata, prendendoci tutti per rimbecilliti, prima di tutto i lettori dei loro riveriti giornali.
MARIO MORISecondo loro quell'arresto non dimostra l'esistenza di una cospirazione politico giudiziaria che si chiama appunto calunnia contro uomini pubblici decisivi della nostra vita democratica, no, c'è un puparo ignoto dietro la calunnia e adesso gli stessi magistrati che hanno accudito il pupo dovranno eroicamente dare la caccia al puparo. Un nuovo mistero, nuovo fango che avanza, nuova ingiustizia.
iannuzzi97 jannuzzi mario moriOra basta. Se nessuno tra coloro che hanno autorità per farlo si muovesse, se il ministro Alfano, il vicepresidente del Csm Vietti, il capo dello Stato, non sen¬tissero il dovere civile di accertare che cosa è accaduto, sotto il travestimento ridicolo dell'obbligatorietà dell'azione penale, se nulla di serio e di liberale e di garantista dovesse accadere nei prossimi giorni, l'anarchia già in fase avanzata in cui vive questo Paese straziato da un ventennio di uso politico della giustizia diverrebbe un'esondazione di colpe incrociate, il fomite di una generale dele¬gittimazione.
rutelli comp11 degennaroE chi ama la Repubblica non può stare a guardare senza fare nulla. Ci sono forze ancora grandi e limpide capaci di reagire in modo serio, respon¬sabile, equilibrato, trovando le parole giuste per dire lo scandalo più grave, in materia di stato di diritto e di regolare funzionamento delle istituzioni, da vent'anni a questa parte?
Quando un magistrato avalla una cospirazione calunniosa contro i capi del governo, i parlamentari, i generali dei carabinieri, i ca¬pi dei servizi segreti, i vicepresidenti del Csm, che cosa si deve fare? Starsene a braccia conserte? Godersi lo spettacolo voluttuoso della calunnia di Stato e aspettare che chi l'ha consentita faccia giustizia? Che cosa aspettiamo a tirare fuori l'articolo 289 del codice penale, «attentato a organi costituzionali», che punisce con dieci anni di galera chi cospira contro lo Stato?