Enrico Arosio per "l'Espresso"
SINDACO LETIZIA MORATTINell'ultimo capitolo di "America" di Kafka, il giovane Karl, sguardo ingenuo e cuore in tumulto, viaggia in treno giorno e notte attraverso gole oscure. La sua meta è il misterioso Teatro Naturale dell'Oklahoma, da cui si ripromette lavoro, futuro, nuova vita, in un parola: la salvezza; ma di cui noi lettori non sapremo mai nulla, perché "America" rimase frammento, la storia non ebbe fine, l'utopia morì sulla pagina.
Ecco, l'Oklahoma di Kafka fa pensare all'Expo 2015: un evento salvifico per il rilancio di Milano e dell'Italia (così viene promesso) immaginato in un luogo che non esiste (una squallida landa a ovest di Milano, tra la ferrovia per Torino e le stradone di Rho-Pero) e diretto da un potente impresario che si credeva fosse l'elegante Letizia Moratti, commissario Expo, dietro la quale si staglia sempre più sornione l'ambiziosissimo Roberto Formigoni presidente della Lombardia.
Dell'Expo 2015 il milanese medio non riesce a distinguere nulla, se non una nebulosa di chiacchiere e litigi, e una serie di rendering di computer già obsoleti. Finora s'è capito questo: che da tre anni i leader e i partiti dibattono su chi deve guidare l'operazione e chi deve pagare; che i contenuti strategici, a parte lo slogan "Nutrire il pianeta, energia per la vita", sono spariti dalla discussione; e che il progetto approvato dal Bie (Bureau international des expositions) ne uscirà stravolto. Questo è ciò che s'intuisce. "L'espresso" vuol provare a diradare la nebbia.
ROBERTO FORMIGONICHI COMANDA.
In teoria, Letizia Moratti, commissario Expo 2015 a prescindere dalla carica di sindaco. In realtà se ne discute con furia dal 2008. Sono stati fatti fuori due top manager, Paolo Glisenti e Lucio Stanca, e due master plan, uno preliminare dello studio 5+1, e quello presentato ufficialmente al Bie nell'aprile 2010, in via di profonda revisione. Ora la Expo Spa, la società di gestione, ha una presidente, l'industriale Diana Bracco, un consiglio, uno stimato amministratore delegato, Giuseppe Sala, una squadra di dirigenti.
Ma sopra le loro teste impazza ancora in questi giorni la sarabanda politica sulla governance, legata alla polpa vera di tutto, la proprietà delle aree. Oggi agricole (valore sotto i 30 milioni), domani edificabili (oltre 100). Partita cruciale, anche per i proprietari delle aree adiacenti.
Secondo le ultimissime, che son sempre le penultime, una società di trasformazione urbana (Stu) a maggioranza di capitale pubblico acquisirà le aree. Sono quasi un milione di metri quadri, che appartengono per metà a Fondazione Fiera Milano, per un quarto al gruppo Cabassi, per il resto ai Comuni di Milano, Rho, alle Poste e altri. La Moratti preferiva il comodato d'uso, Formigoni l'acquisto; la soluzione Stu darà ragione più a lui. Entreranno Regione e Comune, la Fondazione Fiera (che comprerebbe la quota Cabassi), la Provincia con quote minime, come i restanti.
Guido Podestà e la seconda moglie Noevia ZanellaL'ennesima sorpresina è che Guido Podestà presidente della Provincia è in conflitto d'interessi perché attraverso la moglie risulta socio dei costruttori Cabassi. Chi resterà fuori? Il ministero dell'Economia e la Camera di commercio. Letizia Moratti negozierà un maggior peso per il Comune di Milano, ma il modello Formigoni prevarrà; perché Fondazione Fiera è controllata dalla Regione e dall'establishment formigoniano consolidatosi negli anni con la tenacia degli opliti spartani.
QUALE PROGETTO.
Lo scorso autunno ancora vigeva il masterplan approvato a Parigi. Ispirato, in principio, dal visionario agroimprenditore Carlo Petrini di Slow Food e dalla consulta di architetti, nomi di rilievo tra cui il londinese Richard Burdett, lo svizzero Jacques Herzog, il milanese Stefano Boeri. Un anno dopo, molto è cambiato. Il concetto iniziale, l'Orto planetario, impostato sulla esibizione delle biodiversità e delle culture alimentari del mondo, con grandi ambienti artificiali per divulgare i temi della "energy for life" nella chiave di un parco tematico per il dopo Expo, verrà radicalmente modificato.
Expo Spa lo considera troppo audace, troppo ecologista e poco economico. Prepara una profonda revisione, darà più autonomia ai Paesi, si costruirà di più. Con il plauso dei costruttori. Boeri denuncia questa "delegittimazione" con Claudia Sorlini e Stefano Bocchi dell'Università Statale. Citano Eden Project in Cornovaglia, Floriade in Olanda nel 2012, Kew Gardens a Londra, il Botanical Garden a New York, tutti con molti visitatori l'anno. Cambiare il masterplan, dicono, è una scorrettezza: si facciano gli stati generali a giugno per rimettere a fuoco il progetto. Boeri, nel frattempo, si è dimesso da consulente perché è entrato in politica con la squadra di Pisapia.
Progetto dell Expo di MilanoRAPPORTI CON ROMA.
Paradosso. Quando il 31 marzo 2008 Milano sconfisse Smirne a Parigi, c'erano dietro mesi di lavorìo diplomatico e leale appoggio del governo Prodi, di centrosinistra, a una Milano di centrodestra. Da quando al governo è tornato Berlusconi, e l'asse politico Roma-Milano-Lombardia è diventato il più lineare di sempre, lo zelo di Roma è scemato. Berlusconi di Expo parla molto poco, e Giulio Tremonti è stato freddo fin dal principio (è sua l'indimenticata battuta: "Letizia, il governo non è tuo marito").
In tempi grami e di debito pubblico stellare, il governo dovrebbe versare oltre 800 milioni di euro. Ora il clima sembra migliorato, e tra l'ad Giuseppe Sala, Tremonti e Vittorio Grilli direttore generale del Tesoro si è creato un buon rapporto che autorizza a un cauto ottimismo.
DIANA BRACCOIL DOPO EXPO.
Si può parlare di un conflitto tra culture. Gli ideatori iniziali, Petrini e gli architetti (Moratti e il Comune erano privi, nel 2008, di un'idea strategica) immaginavano un parco tematico agroalimentare con elevato valore di entertainment. In due parole: un'attrazione turistico-culturale innovativa, con una piccola quota di sviluppo edilizio. Expo Spa, invece, è in pieno rethinking economicista, su un asse Fiera-Bocconi-Politecnico. Punta a una Expo più tradizionale, in cui i singoli Paesi dispongano del proprio lotto con maggior libertà. E a un dopo Expo dove si abbatteranno gran parte dei padiglioni.
Con l'idea di accogliere alcune istituzioni. Per esempio: la nuova sede Rai, un centro di sviluppo sostenibile, magari il nuovo Palazzo di Giustizia. Più una quota di edilizia (commerciale? uffici? residenze?) di cui si tace con discrezione. Una cosa è certa come il panettone è giallo: il giovane Karl dello struggente romanzo "America" non troverà l'Oklahoma dei suoi sogni a Pero-Rho.
LA KERMESSE IN CIFRE
L'AREA
È di 970 mila mq al margine nord-ovest di Milano, vicino ai comuni di Pero e Rho. L'area confina con la Nuova Fiera.
LA PROPRIETÀ
È per metà di Fondazione Fiera, per un quarto del gruppo Cabassi, per il resto dei Comuni di Rho e Milano, di Poste e altri. Le aree andranno a una società di trasformazione urbana, a maggioranza di capitale pubblico.
IL BUDGET
1,7 miliardi di euro per il sito (di cui 800 dal governo) e 1,3 miliardi per la realizzazione dell'evento, nel 2015.
I VISITATORI
Previsti 20 milioni di visitatori, di cui 30 per cento dall'estero. A Hannover 2000 furono 18 milioni, a Siviglia 2008 solo 5,6.
I PAESI OSPITI
Sono 130 i Paesi partecipanti, 60 gli enti nazionali e sovranazionali.