Silvia Truzzi per "il Fatto Quotidiano"
AURELIO PICCAStrega amaro, amarissimo. Anzi indigeribile, specie in casa Rizzoli: dopo la rinuncia di Alberto Arbasino, si apre l'affaire Picca. Aurelio, poeta e scrittore, laziale di Velletri, classe 1957, quasi in corsa e poi "ritirato" da Rcs (il gruppo partecipa solo con un titolo di Bompiani). Lui non l'ha presa per niente bene: al telefono troviamo un Picca piccatissimo.
È ufficiale: il suo Se la fortuna è nostra' non correrà allo Strega.
Primo: il mio libro è scritto in lingua italiana, che tutti dovremmo tentare di riusare. Secondo: ha avuto un successo di critica bestiale. Poi: sono uno scrittore di lungo corso, sto alla Rizzoli dal 1996. Senza contare che i miei lavori hanno sempre avuto grandi recensioni. Questo romanzo glielo avevo raccontato nel 2006 e volevo scriverlo da vent'anni. Per dirla con Pasolini, è un libro "scandalosamente vero".
Ce lo racconti. Pasolinianamente.
È la storia della mia famiglia, ramo paterno, che ha sempre combattuto per la terra. La terra intesa come patria e libertà.
Chi erano i Picca?
Repubblicani, anticlericali che però credevano in Dio. Una famiglia che ha in sé, e io ne porto le tracce nel Dna, le tre grandi culture italiane. Quella cristiana; quella repubblicana - laica, mazziniana, di mio nonno; quella comunista - del Pci, che viene dal secondo marito di mia madre: io sono rimasto orfano a 21 mesi. Da ragazzino ho fatto tutti i lavori del mondo. E poi ho imparato a scrivere sui testi dei maestri. Foscolo ha deciso i miei equilibri.
Ma non è stato abbastanza per il Ninfeo di Villa Giulia.
È una vetrina, la porta commerciale per uno scrittore autentico. E non sono certo io a dirmelo da solo, ma moltissimi critici: da Geno Pampaloni ad Angelo Guglielmi, da Alfredo Giuliani a Natalia Ginzburg. Portare lì un autore aiuta anche gli argomenti di cui si occupa il libro. Se questo non succede mi viene da pensare che l'Italia può fare a meno della letteratura e della cultura, come fa a meno del talento. È bene che gli editori - tutti - pubblichino solo le cose commerciali: conduttrici televisive, calciatori. Smascheriamo questo mercato: diciamo che gli scrittori di carattere non devono esistere più.
Ha dichiarato al Corriere: "Con la Rizzoli ho chiuso".
Io sono un vecchio ragazzo perbene. Un ex bambino orfano che ha costruito se stesso e che oggi è in lutto come se avesse perduto un parente. Il mio libro è stato oltraggiato. Come i suoi valori, tutti condivisibili: la lingua, le culture di questo Paese, i grandi maestri. Non sono io che devo fare qualcosa. è la Rizzoli che deve pensare.
Ecco. Rcs, con una nota risponde così: "Non c'è alcuna relazione tra questa decisione della casa editrice e la qualità del romanzo di Picca, Se la fortuna è nostra, che abbiamo pubblicato con convinzione e che ha ricevuto molti e importanti apprezzamenti da parte della critica. Aurelio Picca è e resta - se lo vorrà - un autore di cui la Rizzoli va fiera". Lei che dice?
Mi fa piacere. Ora però aspettiamo i fatti. Hanno molti miei libri che sono stati dimenticati. Come Tuttestelle del 98: con quello ho vinto il Grinzane Cavour, quando Rizzoli non vinceva nulla da anni. E poi io ho un grande romanzo nel cassetto, Addio: il 1969, la perdita dell'innocenza italiana con l'omicidio di Ermanno Lavorini.
Correrebbe da solo come fece Scurati?
No, non amo i protagonismi. Sono già abbastanza protagonista nella vita privata. Mi batto per i miei libri, voglio che vengano fatti leggere.
Si aspetta che la portino per il Campiello?
Non è una questione di mercato.
Allora, scusi, qual è il problema?
Questo libro ha avuto numerose lodi, da Raffaele La Capria a Marco Lodoli. Piace a tutti, è raffinato e popolare insieme. E secondo i padri della letteratura viene dalla nostra tradizione. I protagonisti di questa storia che ho raccontato reclamano giustizia e gesti importanti. Loro, non io.
Ha detto: "Questo libro l'ho scritto col sangue". In che senso?
Racconto la verità della mia famiglia, la storia di un patriarca che ha ucciso tre persone. Mio nonno a 13 anni mi diceva: "Scrivi la nostra storia". Sono stato tre anni a letto per farlo, depresso. Mi è pure venuta la colite ulcerosa, dalla paura di non poterlo affrontare. Poi, quando ho dipanato la matassa, ci ho messo sei mesi. Otto ore al giorno, uscendo di casa cinque volte. Con il sangue, sì: me lo sono scritto prima addosso e poi sulla pagina. L'ho pagato con il mio corpo. È il grande banchetto tra vivi e morti. I morti che lo volevano, i miei avi, si sono incarnati in me e l'hanno scritto assieme a me.
Addirittura. Non sarà un po' apocalittico?
Ripeto: è il mio libro che chiede giustizia. Non io. Mi creda. E poi vanno aiutati i libri forti, non i libri deboli.
Ha una fiducia incrollabile nel suo lavoro. Anzi, una fede.
È un libro universale, ha un pubblico che va dagli appena alfabetizzati agli intellettuali raffinati. Lo legga e poi mi dica.
Strega bocciato?
Se le cose stanno così, è un premio finito. Adesso Rizzoli mette la vittoria nelle mani di Mondadori. Con tutto il rispetto per Mario Desiati un giovane in crescita (in corsa con Ternitti, ndr) . È un modo per non combattere, non accettare la sfida.
Ma il gruppo Rcs ci sarà: con Storia della mia gente di Edoardo Nesi, pubblicato da Bompiani.
Non ho mai letto Nesi, anche se lo rispetto come uomo. E comunque è un libro vecchio di un anno. Non succede di solito. Però non si tiene una persona in sospeso per un mese con il balletto del "facciamo uscire la notizia" e poi si ritira la mano.
La candidatura di Arbasino, con America Amore (Adelphi), era decisamente una scelta per vincere.
Ma che si vince svuotando i nosocomi? Ho molto apprezzato la decisione di Arbasino: una riflessione di buon senso, da parte di un grande scrittore e di un vero signore. Però una volta che Arbasino si era ritirato, tutti mi dicevano: sei tu il candidato. Avevo appena dato al Corriere un racconto inedito, pensavo fosse un'investitura.
Invece?
Se domenica ero cardinale, lunedi sono tornato soldato semplice. Comunque io con Arbasino divido una curiosità: siamo gli unici due scrittori italiani a portare in tasca un fazzoletto bianco ricamato a mano.
A proposito di vezzi, correva l'anno 2006 e Camillo Langone scriveva sul Giornale: "Aurelio Picca viaggia in Jaguar, colleziona anelli, veste Christian Dior, scende solo in grandi alberghi". È sempre vero?
Amo le auto. Invece di drogarmi compro oro. Ma messa così sembro una figurina di provincia: non ho il tratto del collezionismo piccolo-borghese. Adoro anche i cani randagi, lì porto a casa mia.
Come si definirebbe?
Io mi dico anti-moderno, non sono un mondano. Ma ho una velocità di scrittura e di esecuzione che è assolutamente moderna. Poi sono un grande amante dell'arte e del design.
Torniamo allo Strega negato: è offeso?
No, il punto è che la letteratura è completamente uscita dalle logiche di questi premi. Ma allora ammettiamolo.
Esempi di buona letteratura?
Luca Doninelli è uno che è stato dimenticato, ma ha scritto un bellissimo libro all'inizio degli anni 90, La revoca. Belardinelli voleva fare il poeta e continua a dire che il romanzo è morto. Ma semmai è morto il romanzo commerciale. E poi la critica non esiste più: è finita con Pampaloni.
Non si salva nessuno tra i critici di oggi?
Un giovane fuori dalle logiche di posizione che si chiama Andrea Di Consoli, bravo e libero. Io non lo conoscevo per niente e ha scritto una pagina intera su di me.
Dove?
Sul Tempo. Ma hanno scritto il Corriere, Lorenzo Mondo sulla Stampa, Lodoli su Repubblica. Io sono uno scrittore fortunato. Su di me si è esercitato anche Alfredo Giuliani, sempre su Repubblica negli anni 90. L'intellettuale più intelligente della neoavanguardia.
Ora che succede con editori e premi?
Faccio una battuta: se la sinistra cerca di battere Berlusconi con gli escamotage, senza una vera azione politica, lui continuerà a vincere. Nemmeno in editoria si va lontano con gli escamotage.
Quindi il messaggio è: aprite gli occhi.
No apriteli, spalancateli. Sa che si dice a Roma? "Non si fa i froci con il culo degli altri".
Ma è Ricucci...
E allora, dov'è il problema? Basta con questo sistema di usare gli scrittori e poi fare i propri comodi.
2 - CARO STREGA, VAI A SCOPARE IL MARE...
Giordano Tedoldi per "Libero"
Venerdì sapremo ufficialmente quali sono i libri candidati dalle case editrici per il premio Strega 2011. Dovremmo dire che i candidati sono proposti, secondo regolamento, dagli Amici della Domenica, la confraternita che dal 1947, primo anno del Premio vinto da Ennio Flaiano con Tempo di uccidere, adotta un romanzo da portare in gara, e che passando per la scrematura delle due votazioni previste, può vincere il maggior premio letterario nazionale.
Ma questi Amici della Domenica sono uomini mortali, anzi, peggio, sono tutti scrittori, critici, giornalisti, e tra di loro ce ne sono alcuni molto autorevoli che, come da migliore tradizione italiana (o un po' come i maestri Jedi), considerano poco meno di un tradimento (un passaggio al lato oscuro della Forza), da parte dei loro discepoli, non appoggiare i libri che secondo loro sono meritevoli.
Paolo Mieli MarinoPaoloniAnni addietro,lo stimato critico e scrittore Emanuele Trevi, spergiurò che mai e poi mai, pur essendo Amico della Domenica da quando portava i calzoni corti, era stato condizionato nelle sue scelte. Ma in un'altra intervista ammise candidamente che in un caso votò secondo il volere di Cesare Garboli, uno dei suoi maestri. Nulla di male, saper accontentare le bizze dei propri maestri, specie se si portano ancora i calzoni corti, è un segno di buona educazione.
E infatti sbaglia chi parla di pastette: allo Strega vince non il romanzo migliore o quello più furbescamente pilotato, ma quello più rispettato, quello che, su impulso principale degli editori che sono pur sempre gli impresari del circo del libro, consente agli Amici della Domenica di fraternizzare sempre di più, nella beata incompetenza letteraria di cui danno sempre prova, ma in una ritrovata convivialità che ha il suo trionfo la sera della cerimonia del premio, che si potrebbe benissimo tenere nel ristorante "da Checco" sulla Aurelia, anziché al Ninfeo di Villa Giulia.
Che siano loro i veri protagonisti del premio, lo dimostra il fatto che gli editori spesso ne escono scornati, come Rizzoli l'anno scorso, che aveva già visto vincitore Acciaio di Silvia Avallone, acciaio piegato dalle ruvide mani operaie di Antonio Pennacchi, col suo Canale Mussolini. Quest'anno, a conferma di quanto diciamo, gli editori sembravano addirittura spaventati dalla gara. Tranne Mondadori, che forte di quattro vittorie consecutive (col proprio marchio o quello Einaudi) avrebbe schierato tutto il catalogo, ma saranno due: Mario Desiati con Ternitti e, con ufficiale annuncio ieri, Mariapia Veladiano con La vita accanto col marchio Einaudi.
Il gruppo Rizzoli e Bompiani, invece, dopo la delusione degli ultimi due anni, con i favoriti Scurati e Avallone maciullati dal rivale di Segrate, sembrava voler provocatoriamente lasciar campo libero, quasi con la soddisfazione di dire, poi, «avete vinto 3-0 a tavolino».
Come se le vecchie volpi della Mondadori se ne facessero scrupolo. Alla fine l'intrepido che sfiderà la Mondadori sarà Edoardo Nesi con Storia della mia gente (Bompiani), escluso quindi il candidato Rizzoli, Aurelio Picca, che neanche si stesse parlando della nomina ai vertici dell'Eni commenta: «Questa sera chiudo con la Rizzoli. Mi sembra una cosa indegna, che risponde solo a una logica di realpolitik».
Anche Feltrinelli sembra deciso a abbandonare, c'era in ballo l'esordiente Alessandro Mari con Troppo umana speranza, un titolo che è già un'ammissione di sconfitta. Un capitolo a parte è quello dei "venerati maestri" Eco e Arbasino . Eco ha dichiarato che a 80 anni è brutto portare via il trofeo a un ragazzino, e la sera del premio se ne starà a casa a leggere Kant. Arbasino, con America amore (Adelphi, cioè Rizzoli) lo vorrebbero candidare un po' tutti, ma lui in una lettera alla fondazione Bellonci, si dice disponibile semmai a ricevere un premio alla carriera: «In qualità di vegliardo, sarei ovviamente onorato e incantato per un eventuale premio alla mia lunga operosità letteraria. Ma mi parrebbe fuori posto una eventuale gara con competitori che hanno la metà dei miei anni».
SILVIA AVALLONEInfine rimangono i piccoli editori, che allo Strega contano come un mimo a una gara di rutti. Newton Compton, dopo aver dichiarato l'anno scorso che mai e poi mai avrebbe avuto a che fare con un premio taroccato che aveva osato escludere un suo autore, ora candida Franco Matteucci con Il profumo della neve. Del resto, solo i cretini non cambiano idea. Poi c'è l'eroica casa editrice romana Playground con A cosa servono gli amori infelici, bellissimo romanzo di Gilberto Severini per cui si sta spendendo molto lo scrittore Marco Lodoli.
Scurati, che anche lui dopo la sconfitta del 2009 contro Stabat Mater di Tiziano Scarpa aveva affermato «non gioco più», dichiarando una specie di lutto permanente e conseguente digiuno da qualunque manifestazione culturale, rispunta come "presentatore" del romanzo Nina dei lupi di Alessandro Bertante (Marsilio). Bertante l'abbiamo visto recentemente ospite delle Invasioni Barbariche di Daria Bignardi, gli consigliamo di esse- re un po' più sorridente, era truce e accigliato come uno scrittore vero. Cioè, come si pensa che debba essere uno scrittore vero, nell'opinione di uno scrittore come Scurati, che cura il broncio più dello stile.