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GERONZI, LA VENDETTA DI MEDIOBANCA - indicato come dimissionario, gerovital partecipa alla riunione DEL CDA - il siluramento è la vendetta (a freddo) DI MEDIOBANCA: il banchiere dei colli laziali appena sbarcato a Piazzetta Cuccia cercò di far fuori Nagel e Pagliaro - INDOVINATE QUALE CONSIGLIERE HA INVIATO, DAL SUO CELLULARE A REPUBBLICA.IT, LA NOTIZIA della cacciata...

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1- GENERALI: VERSO INIZIO CDA, GERONZI PARTECIPA ALLA RIUNIONE - IL PRESIDENTE DELLA COMPAGNIA E' DIMISSIONARIO...
Radiocor
- Riunione del cda Generali verso l'inizio dei lavori, in ritardo rispetto ai tempi previsti. Cesare Geronzi, indicato come dimissionario, non e' stato visto uscire dalla sede romana della compagnia e, secondo quanto risulta a Radiocor, partecipera' alla riunione. L'incontro, previsto alle 10, e' stato rinviato di qualche ora e i consiglieri hanno approfittato anche per una breve pausa pranzo.

NAGEL GERONZI

2- GERONZI, LA VENDETTA DI MEDIOBANCA
Andrea Giacobino per ITALPRESS

La vendetta è un piatto che si mangia freddo. Il motto che Cesare Geronzi, pur dall'alto del suo consumato aplomb, ha più volte tenuto a mente e praticato nel corso della sua più che quarantennale carriera, si ritaglia anche sulle sue dimissioni dalla presidenza delle Assicurazioni Generali avvenute oggi in modo traumatico e che per un curioso caso del destino coincidono con l'inizio del processo milanese a Silvio Berlusconi, che ha avuto nel 76enne banchiere di Marino il suo maggior punto di riferimento per sbarcare nel Salotto Buono della Finanza.

La vendetta è stata consumata non tanto e non solo dai 10 consiglieri del Leone di Trieste che avevano preparato una mozione di sfiducia nei confronti del presidente, quanto dalla circostanza che fra quei componenti del board c'è Alberto Nagel. Che è da una parte il vicepresidente delle Generali messosi di traverso all'operato dell'altro vicepresidente, il finanziere bretone Vincent Bolloré che ha invece appoggiato la lunga campagna destabilizzante di Geronzi nei confronti del ceo Giovanni Perissinotto.

Nagel Geronzi

Ma Nagel è anche l'amministratore delegato di quella Mediobanca che con il 14% circa è l'azionista di riferimento del big assicurativo e tra le firme dei consiglieri c'è anche quella di Francesco Saverio Vinci, direttore generale dell'istituto.

Insomma, a Geronzi il benservito glielo ha dato il suo padrone. E la cosa può sembrare paradossale, visto che proprio quello che fino a ieri era considerato il più potente "power broker" italiano è stato presidente della stessa Mediobanca fino a metà del 2010.

bollore article

Ma il paradosso si dissolve presto e assume la logica della vendetta che si consuma a freddo quando si riflette che il banchiere di Marino appena sbarcato a Piazzetta Cuccia cercò di depotenziare i ruoli di Nagel e di Renato Pagliaro, delfini e pupilli di quel Vincenzo Maranghi, erede fiero della tradizione del fondatore di Mediobanca Enrico Cuccia. Proprio quel Maranghi, poi defunto, che Geronzi aveva contribuito a cacciare forte dell'appoggio di Bolloré che in seguito lo aveva portato alle Generali silurando il presidente francese Antoine Bernhein, cui il finanziere bretone deve gran parte dei suoi successi.

DIEGO DELLA VALLE

Insomma, Geronzi paga oggi il suo "stile", quello di aver sempre cercato di minare l'autorevolezza dei suoi manager. Lo fece in Banca di Roma nei confronti di Matteo Arpe, continuò a farlo quando Capitalia si fuse con Unicredit nei confronti di Alessandro Profumo; lo fece - come dicevamo - in Mediobanca.

perissinotto giovanni

Potè farlo così a lungo e fino ad allora perché aveva in mano le leve del credito bancario ed è noto l'"ecumenismo" delle politiche di erogazione degli istituti guidati da Geronzi nei confronti di tutti i partiti politici della Prima Repubblica. In Mediobanca era quasi riuscito a compiere il suo capolavoro: il Salotto Buono per eccellenza, dal quale Cuccia aveva sempre tenuto fuori colui che il vecchio banchiere siciliano definiva l'"impresario" Berlusconi, spalancò invece le porte e stese il tappeto rosso alla Fininvest del premier che debuttò persino nel patto di sindacato assieme alla Mediolanum dell'amico e socio Ennio Doris, e Marina Berlusconi fu accolta nel board dell'istituto.

Antoine Bernheim

Sbarcato a Trieste, Geronzi pensò di comportarsi allo stesso modo, dimenticando due circostanze: di non avere più la leva del credito bancario e tralasciando che Generali è vista dai suoi soci piccoli e grandi come il "salvadanaio" dei propri risparmi. Non era pensabile, quindi, che Geronzi cercasse di piegarla - contro il management - a logiche di "sistema", come incautamente disse appena insediatosi, magari per sostenere le politiche del governo nel social housing o - peggio - per intervenire su partite bancarie e industriali (vedi il dossier Ligresti).

silvio e marina berlusconi

Di qui la resistenza di Perissinoto, forte della "tecnocrazia" delle Generali, attorno alla quale si sono compattati gli azionisti privati come Diego Della Valle e Lorenzo Pellicioli (De Agostini). Ma, è bene ripeterlo, il "power broker" è stato licenziato in primo luogo da Nagel e Pagliaro.

pellicioli02

Un cosa è certa: con quella che è a tutti gli effetti la cacciata di Geronzi da Trieste (peraltro salutata con entusiasmo dall'andamento del titolo Generali in Borsa, segno inequivocabile del giudizio del mercato) per la finanza italiana e per il cosiddetto Salotto Buono comincia una nuova era il cui primo banco di prova sarà il rinnovo del patto di sindacato proprio di Mediobanca, atteso per quest'autunno.

Qualcuno potrà forse dire che il benservito a Geronzi non dispiace al ministro dell'economia Giulio Tremonti, che toglie al premier Berlusconi il suo fondamentale punto di riferimento finanziario. Ma, interpretazioni politiche a parte, da oggi a Trieste e nel Paese inizia una nuova era, nel segno della volpe più astuta finita in pellicceria.

Francesco Saverio Vinci

 


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