Giorgio Meletti per "Il Fatto quotidiano"
BERNABEÈ il primo di ottobre del 2010, sei mesi fa. L'amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè, si presenta dal procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, che lo vuole interrogare come persona informata dei fatti a proposito della gigantesca truffa (due miliardi di euro) organizzata sul traffico telefonico di Fastweb e di Telecom Italia Sparkle.
Telecom Italia si ritiene parte lesa in quella vicenda e Bernabè spiega a Capaldo di aver già licenziato l'amministratore delegato della controllata Sparkle, Stefano Mazzitelli, e di aver avviato nei suoi confronti l'azione di responsabilità, con la quale il manager sarà chiamato a rispondere dei danni patiti dall'azienda.
Poi Capaldo gli chiede della pasticciata storia di Telecom Argentina, che pochi mesi prima era stata al centro di un'operazione lobbystica piuttosto spregiudicata, proprio per indurre Bernabè a svendere la preziosa partecipazione. Come ha raccontato in dettaglio Il Fatto Quotidiano lo scorso 12 marzo, Bernabè conferma a Capaldo le pressioni subite, e le sue parole finiscono nel nuovo fascicolo aperto da Capaldo proprio su Telecom Argentina.
TRONCHETTI PROVERAUna nuova parte, molto interessante, di quel verbale è stata pubblicata ieri pomeriggio dall'Agenzia Italia.
A Capaldo che, incuriosito, gli chiede delle varie pressioni che può subire uno come Bernabè, il manager di Vipiteno-Sterzing risponde con apparente noncuranza: "Da più parti anche politiche sono arrivati nel tempo segnali nel senso di procedere alla dismissione della rete di Telecom Italia, in quanto monopolista o per ragioni finanziarie.
Non ho mai raccolto tali inviti considerando la rete un asset strategico non solo per la società ma per il Paese. Gli argomenti di natura regolatoria o finanziaria che sono stati sempre avanzati non hanno mai scalfito tale mia convinzione, anche perché senza la rete Telecom resterebbe soltanto un enorme rivenditore di traffico telefonico".
Il procuratore Giancarlo CapaldoFin qui niente di nuovo. La battaglia si è svolta alla luce del sole. L'allora vice ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani ha fatto il diavolo a quattro per trasformare la rete di Telecom Italia in una specie di oggetto condominiale - sul modello di Terna per l'elettricità - a disposizione di tutte le società telefoniche. Un modello che non ha precedenti in nessun Paese del mondo.
PAOLO ROMANIE che Bernabè ha sempre respinto. Ma è qui che il manager mette a verbale, e non è un modo di dire, un'accusa precisa e pesante contro la gestione precedente, quella che dal 2001 al 2007 ha fatto capo al presidente della Pirelli Marco Tronchetti Provera. Spiegando la discussione sullo scorporo della rete telefonica, Bernabè detta a Capaldo: "In questo senso non hanno alcuna prospettiva le ipotesi di spezzatino, in quanto non vi è più nulla da spezzettare". Poi, per rimarcare il concetto, spiega che "la pressione per lo scorporo della rete è sempre stata molto forte. In realtà Telecom Italia è già stata smontata, non ci sono più immobili... c'è solo la rete".
Bernabè ha dunque messo a verbale ciò che molti azionisti di minoranza della Telecom (controllata con solo il 22,5 per cento delle azioni dalla Telco di Intesa, Generali, Mediobanca e Telefonica) insinuano da tempo. E cioè che durante l'era Tronchetti si sia verificata un'intensa dissipazione dei beni aziendali, a cominciare dagli immobili, venduti in gran parte allo stesso gruppo Pirelli che deteneva allora il controllo azionario di Telecom e che oggi passa tutti i mesi a farsi pagare da Bernabè la pigione per le centrali telefoniche.
All'inizio del 2008, appena insediato, Bernabè disse ai sindacati, durante una riunione assai calda, che aveva trovato la Telecom "spolpata". Una parola sufficiente a innescare una guerra senza esclusione di colpi con Tronchetti, che ha sempre respinto ogni accusa di questo tipo. Adesso nei verbali della procura di Roma c'è scritto "smontata". La sostanza non cambia. E il duello con Tronchetti è destinato a riaccendersi.