Quantcast
Channel: Articoli
Viewing all articles
Browse latest Browse all 340557

MARPIONNI D’ITALIA – L’IMPULLOVERATO VUOLE DIVENTARE IL PADRONE DELLA FIAT E RISCHIA PURE DI FARCELA - L’IMPRESA NON È MAI RIUSCITA A NESSUNO, DA ROMITI A DE BENEDETTI, A MORCHIO – LUI VUOLE TRASFORMARE LA FIAT IN FIAD: FABBRICA INTERNAZIONALE AUTOMOBILI DETROIT. SE I PIANI RIESCONO, INSIEME A CHRYSLER DIVENTERÀ UNA PUBLIC COMPANY AMERICANA ENTRO IL 2012 – E PER GLI AGNELLI LE BRICIOLE (TRA IL 10 E IL 15%): SEMPRE MEJO DI FALLIRE...

$
0
0
marchionne saluta a pugno chiuso

Stefano Cingolani per "il Foglio"

E se alla fine il vero padrone della nuova Chrysler-Fiat diventasse proprio Sergio Marchionne? Non il capo azienda, il che è scontato, ma il patron, come dicono i francesi, azionista e manager operativo tutto in uno. Una figura che non corrisponde né al paradigma imprenditoriale di Joseph A. Schumpeter né alla "mano visibile" di Alfred Chandler. Nella storia della Fiat, nessuno ci è riuscito. Chi l'ha tentato, è stato punito con la damnatio memoriae. Spesso bastava solo il sospetto.

La morte di Vittorio Ghidella, l'uomo che creò la Uno e contribuì alla rinascita degli anni Ottanta, è stata ricordata con ritardo e attraverso uno smilzo e burocratico comunicato dell'ufficio stampa Fiat. Quando era stato assunto, Ghidella possedeva la Roltra che faceva, tra l'altro, un motorino per i vetri elettrici delle auto. Così, l'accusa di conflitto di interesse (a essere benevoli) accompagnò la sua sconfitta. Il vincitore, Cesare Romiti, al pari di Vittorio Valletta, non ha mai percepito altro che lo stipendio (il cui ammontare non ricorda, dopo tutti questi anni).

Marchionne John Elkann e Luca Cordero di Montezemolo

Nemmeno un'azione Fiat, un bonus, una stock option. Quando lasciò, nel 1998, si portò via 185 miliardi di lire, Gemina e il controllo del Corriere della Sera: voleva diventare anche lui padrone, creare insieme ai figli una nuova famiglia di capitalisti. Non ci è riuscito.
"Ho avuto i pieni poteri", ricorda Romiti in tv, davanti all'inviata di "Report" e rivendica la sua lealtà nei confronti del sovrano. Eppure, anche lui salì sul trono nel 1993. Era un altro periodo nero, uno dei più bui per la Fiat e l'Italia. Crisi produttiva, crisi finanziaria, crollo della lira, dissoluzione del sistema politico, i magistrati di mani pulite che mettono sotto torchio l'intero top management.

John Elkann con MArchionne

Antonio Di Pietro tuona: "Si presentino i generali, è ora che la Fiat smetta di mandare allo sbaraglio i colonnelli". Finché Romiti fa la parte del cireneo e si becca una condanna che macchia il lenzuolo della onorabilità. Né Gianni né Umberto Agnelli subiscono l'onta del terzo grado a San Vittore. Ma sono a terra. Vengo salvati e nello stesso tempo ingabbiati da Enrico Cuccia che organizza un patto di sindacato con Generali, Deutsche Bank e Alcatel. Romiti ha il comando e nel 1996 diventa presidente, come Valletta.

Gianni Agnelli

Otto anni dopo, ci prova Giuseppe Morchio. Arrivato al vertice nel 2003, dopo la morte dell'Avvocato, pensa di cogliere la grande occasione nel maggio 2004, quando Umberto Agnelli, malato di cancro, non è più in grado di partecipare nemmeno all'assemblea della Fiat. Il giorno del funerale, la famiglia si riunisce per decidere la successione e l'amministratore delegato chiede di affidargli l'azienda come presidente ed espressione della proprietà, entrando nella cassaforte tra gli ottanta e passa eredi. Riceve un secco no. Si dimette, al suo posto arrivano Montezemolo e Marchionne. Mentre Jaki Elkann mette sul tavolo la quota che il nonno gli ha lasciato.

Gestore e azionista, dunque. Prima di Morchio, nel lontano 1976, lo stesso sogno viene accarezzato da Carlo De Benedetti. Quando viene chiamato, scambia la sua società, la Gilardini, con un pacco di azioni Fiat: una fettina della torta, non più del cinque per cento, rispetto agli Agnelli che ne hanno direttamente il 25, ma basta per non essere solo un dipendente. Resiste appena cento giorni. I suoi avversari dicono che voleva scalare l'azienda. Magari con l'aiuto di banche d'affari internazionali presso le quali ha sempre goduto gran credito. E' vero? "Non l'ho mai pensato", ha ammesso Romiti dopo tanti anni. Ma ormai l'Ingegnere è in tutt'altre faccende affaccendato.

CESARE ROMITI

Insomma, la Fiat non è indenne dalla sindrome di Dravot, il personaggio del racconto di Rudyard Kipling portato sullo schermo da John Huston. Creduto il successore di Alessandro Magno dagli abitanti del Kafiristan, finisce male quando gli ingenui montanari scoprono il bluff. Indossare la corona senza essere concepito da nobili lombi, non è facile nemmeno fuori dal "Fiatstan".

Lo dimostra Eugenio Cefis. Ex braccio destro di Enrico Mattei, rompe nel 1961, in dissenso sulla politica anti- americana. Un anno dopo, Mattei muore cadendo con l'aereo aziendale. Nel 1967, Cefis diventa presidente dell'Eni con i cui denari (pubblici perché l'azienda è dello stato) scala Montedison, in apparenza per fare un favore a Cuccia, in realtà per se stesso. Nel 1971 lascia l'Eni in mani fidate e prende possesso di Montedison. Contro questo Rastignac degli affari, Eugenio Scalfari scrive "Razza padrona". Appoggiato da Amintore Fanfani, nel 1974 Cefis si scontra con Gianni Agnelli per la presidenza della Confindustria.

Perde, ma si spartiscono i giornali: a Montedison il Messaggero (l'Eni ha già il Giorno), a Rizzoli il Corriere della Sera, mentre l'Avvocato ottiene che la Gazzetta del Popolo (sinistra Dc) non disturbi più la Stampa. Nel 1977, al culmine del potere, Cefis molla e si ritira in Svizzera. Gli dirà Cuccia: "Sono deluso, credevo che facesse il colpo di stato".
Nessun golpe è in vista per Marchionne, se non aziendale come sospettano i suoi ne- mici. Niente politica, nonostante qualcuno lo abbia auspicato, dopo il vittorioso braccio di ferro con la Fiom. Lui vuole trasformare la Fiat in Fiad (Fabbrica internazionale automobili Detroit) e incoronarsi indiscusso reggitore. Ce la farà?

MORCHIO

Nella primavera del 2009, un'azione del gruppo torinese valeva poco più di tre euro, nel dicembre 2010 è arrivata a 14. Eppure, la quota di mercato è scesa in Europa e in Italia. L'amministratore delegato aspetta che il tubo intasato abbia scaricato completamente gli effetti perversi degli incentivi e annuncia nuovi modelli Fiat, Alfa e Lancia mentre arriva la Jeep a Mirafiori e l'auto ecologica negli Stati Uniti. I risultati si vedranno nell'inverno 2011- 2012. Allora, scatterà la seconda fase.

Se Chrysler torna al profitto può restituire ai governi statunitense e canadese 7,1 miliardi di dollari (dei quali 5,1 effettivamente utilizzati). Secondo i piani, avverrebbe a metà 2011. A quel punto, Fiat, che possiede il 25 per cento, potrebbe prendere un altro dieci a costo zero (la condizione, scrive l'accordo, è che realizzi le nuove vetture a basso consumo). Pagati i debiti con i contribuenti, potrà arrivare al 51. Lo ha detto in tv, in una smozzicata e confusa intervista strappatagli da "Report".

All'assemblea di mercoledì scorso, l'ultima della Fiat così come l'abbiamo conosciuta, ha ripetuto che ciò avverrà entro l'anno, poi le due società avranno un bilancio consolidato e si vedrà chi sostiene chi: Fiat vende meno nel Vecchio continente, Chrysler negli Stati Uniti sta andando meglio, ma è sostenuta dalle flotte aziendali. Più lento, invece, il secondo passaggio: slitta al 2012 la quotazione a Wall Street con una offerta pubblica di acquisto, premessa alla fusione vera e propria.

antonio di pietro idv

La nuova entità diventa una public company americana. Gli Agnelli scendono tra il dieci e il 15 per cento. Grosso modo quanto posseggono i Ford nell'impresa omonima. La metamorfosi è completa. Per l'antica monarchia del capitalismo italiano si prepara un destino opulento, ma meno rilevante perché senza l'auto si ridurrà il suo peso (anche politico). Quanto al manager con il maglioncino, ha già accumulato un tesoretto che equivale al due per cento della Fiat odierna. Se porta a casa tutta la posta, diventa il signore delle quattro ruote. Ma anche se ne prende metà, generazioni di studenti alla Har- vard Business School faranno gli esami sul suo poker globale. Perché nessun altro c'è riuscito; a cominciare da Dravot, il fratello massone che perse la testa perché volle farsi re.

 


Viewing all articles
Browse latest Browse all 340557

Trending Articles