1 - LACTALIS ITALIA HA 880 MILIONI DI DEBITI...
Fabio Pavesi per "Il Sole 24 Ore"
Monsieur Besnier governa su un colosso dell'alimentare. Primo produttore europeo di formaggi e terzo al mondo nella produzione di latticini. Ma ha un problema. Almeno qui da noi. La sua Lactalis Italia è poco remunerativa ed è sommersa dai debiti. Tanti. Solo quelli finanziari valevano a fine 2009 (ultimo bilancio disponibile) ben 880 milioni di euro. Un fardello gravoso, dato che pesano per oltre sei volte la capacità della controllata italiana del gruppo transalpino di produrre reddito dalle sue attività.
Enrico BondiMARGINI IN CALO
Nel 2009 il margine operativo lordo, come documenta R&S Mediobanca, si è fermato infatti a 129 milioni. L'indicatore della profittabilità industriale è tra l'altro in forte calo. Nel 2008 il margine lordo del gruppo, che raggruppa tra le altre la ex Galbani acquisita nel 2006, era di 170 milioni. E negli anni dal 2005 al 2007 superava i 200 milioni. Attività in contrazione, quindi, per lo meno da noi. Niente di drammatico ed è solo l'istantanea casalinga. Che vale però, con i suoi 1,3 miliardi di ricavi, quasi un sesto dell'intero regno di Monsieur Besnier. Per il resto avvolto dal mistero. Di Lactalis si sa solo il fatturato globale di 8,5 miliardi, i suoi 125 stabilimenti e i 36mila dipendenti. Poi basta. Nebbia fitta. Niente bilanci, niente dati su redditività, debiti, liquidità disponibile.
PRESTITI CHE SCADONO
Ma è proprio la situazione delle attività italiane che aiuta in parte a squarciare il velo. E quel velo dice, oltre al passo lento sulla redditività per un gruppo che ha avuto un utile netto nel 2009 di soli 19 milioni su ricavi per 1,3 miliardi, un'altra cosa. Che Lactalis Italia convive da molti anni con una struttura finanziaria squilibrata. Ereditata dall'acquisizione di Galbani, a sua tempo riempita di debiti dal fondo di private equity Bc Partners, prima che Lactalis la acquisisse.
Quei debiti finanziari per 880 milioni, non gravano solo su margini per soli 129 milioni ma su un capitale di appena 167 milioni, anch'esso in calo, insieme alla redditività, almeno dal 2007. Ma il vero problema è che quasi tutta quella montagna di denaro presa a prestito sta per andare a scadenza. Ben 745 milioni di debiti andranno rimborsati entro il 2014. Sembra una data lontana ma è dietro l'angolo per chi non ha flussi di cassa copiosi. E allora l'assalto a Parmalat non ha solo un senso industriale, ma anche finanziario. Poter contare un domani sulla ricca cassa (1,4 miliardi) di Collecchio rende questa scadenza meno preoccupante.
IL DEBITO? CON LA FAMIGLIA
Già, ma con chi ha i debiti la controllata domestica di Lactalis? A parte 71 milioni di un prestito con Société Générale (la banca vicina ai Besnier), per 710 milioni l'esposizione è con sé stessi. Quel debito infatti è con una scatola lussemburghese (la Nethuns Sa) posseduta dalla famiglia e ancora da SocGen. Insomma Besnier fa da banca alle sue attività italiane.
Un vantaggio a prima vista. Forse per la famiglia francese. Meno, assai meno, per Lactalis Italia. Che paga, ogni anno, interessi a tasso fisso del 6,95 percento. Anche nel 2008 e 2009 quando spuntare un tasso più basso con qualsiasi banca era un gioco da ragazzi. E così il finanziere Besnier fa buoni soldi con i prestiti alle sue stesse industrie. Lui guadagna. Lactalis Italia di certo no.
Gruppo BesnierOgni anno escono dalle casse per finire in quelle di Nethuns (leggi Besnier e SocGen) interessi per 50 milioni su quei 710 milioni di debito. Un'uscita che assottiglia gli utili di Lactalis Italia.
2 - PARMALAT, ORA INDAGA LA PROCURA...
Giovanna Trinchella per "La Stampa"
L'era della scalate sembrava finita. E anche quella delle manovre più o meno oscure in Borsa. Ma la vicenda della Parmalat, ambita e ormai quasi conquistata dai francesi di Lactalis, e soprattutto le oscillazioni del titolo sono già un'inchiesta. La Procura di Milano indaga per aggiotaggio, il reato per false informazioni al mercato per influenzare il prezzo di un titolo. A condurre le indagini il pm Eugenio Fusco, già pubblica accusa del processi Parmalat e di quelli sulle scalate Bnl-Unipol e Antonveneta.
Non solo, in campo c'è anche la Consob che monitora Parmalat da quando a metà gennaio i fondi esteri sono entrati nel capitale. L'attenzione di Consob è rivolta alla verifica nel tempo del mutamento negli assetti proprietari, alla verifica della correttezza e della tempestività delle comunicazioni al mercato da parte di tutti i soci rilevanti (inclusi i fondi e la stessa Lactalis). Tornando, al fascicolo giudiziario - per ora contro ignoti - si è appreso che stato aperto all'indomani di un esposto di cui però ora si sa poco.
Michel BesnierDa Collecchio non commentano né la notizia, né l'ipotesi che possa essere stato Enrico Bondi, ad dell'azienda risanata e già commissario straordinario dopo il crac del 2003, a indurre i magistrati a indagare. Ieri mattina comunque Bondi è stato ascoltato dal pm Fusco.
Gli accertamenti riguardano i movimenti del titolo a partire da fine gennaio quando, dopo un articolo pubblicato dal Corriere della Sera , tre fondi esteri che detenevano il 15,3% della società italiana - Skagen, Mackenzie, Zenit - pubblicarono una nota annunciando un accordo di coordinamento per presentare una lista di 11 candidati per l'elezione del Cda del gruppo. La lista dei fondi, secondo le indiscrezioni, sarebbe stata presentata per azzerare l'intero board, lasciando fuori Bondi e il dg Antonio Vanoli.
Nei giorni seguenti, emerse che i tre fondi avevano firmato un accordo di lock-up con il quale si impegnavano a non vendere azioni Parmalat fino all'assemblea, a meno del verificarsi di particolari condizioni. Il 2 marzo in seguito a indiscrezioni stampa i fondi ribadirono il loro impegno sulla società italiana e precisarono che non c'era nessuna «trattativa per la cessione delle azioni detenute in Parmalat con Lactalis o qualsiasi altra controparte».
Il 23 marzo il gruppo francese Lactalis ha, invece, comunicato di aver raggiunto un accordo coi tre fondi per l'acquisto del 15,3% di azioni Parmalat, arrivando così a circa il 29%. Ma anche su questa operazione la Procura di Milano fa sapere che indagherà.
Lactalis ha spiegato che «appresa la notizia di un suo coinvolgimento in un'inchiesta avviata dalla Procura in merito a movimenti di titoli Parmalat, conferma di aver sempre correttamente operato e attende serenamente di conoscere gli sviluppi della vicenda». Sul fronte politico, da registrare, infine, il siparietto di Nicolas Sarkozy. Il caso Parmalat-Lactalis? «Non ho una posizione, magari telefonate a mia moglie» ha risposto il presidente francese ai giornalisti.
UMBERTO BOSSI
3 - PARMALAT, BOSSI: IL GRUPPO NON ANDRÀ IN MANI FRANCESI...
(LaPresse) - Il segretario federale della Lega Nord Umberto Bossi ha escluso che, dopo le norme anti scalata varate dal governo, Parmalat finisca in mani francesi. "Parmalat intanto non va ai francesi, resta qui" , ha spiegato Bossi secondo cui il gruppo Lactalis, che detiene il 29% di Parmalat, non riuscirà a spuntarla. "Se avete seguito bene l'ultimo Consiglio dei ministri sapetete che Parmalat non va ai francesi ma resta in Italia", ha spiegato il Senatur, a margine di un convegno sulla figura di Carlo Cattaneo a Besozzo, nel varesotto. Per Bossi "sono i giornalisti che si inventano le cose".
4 - PARMALAT, COLDIRETTI: È STRANIERO 1/3 DEL MADE IN ITALY A TAVOLA...
(LaPresse) - Circa un terzo (33%) della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati, deriva da materie prime agricole straniere, trasformate e vendute con il marchio Made in Italy. E' quanto emerge da una analisi della Coldiretti in merito al caso Parmalat, per il quale ritiene prioritario un progetto industriale che valorizzi il latte e la zootecnia italiana e si impegni su un Made in Italy che oltre al marchio contenga materie prime nazionali.
"Il fatturato del Made in Italy realizzato con prodotti agricoli stranieri è stimato apri a 51 miliardi e riguarda sugli scaffali - sottolinea la Coldiretti - due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all'estero, ma anche tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro che sono stranieri senza indicazione in etichetta, oltre un terzo della pasta ottenuta da grano che non è stato coltivato in Italia all'insaputa dei consumatori, e la metà delle mozzarelle che sono fatte con latte o addirittura cagliate straniere".