Marco Giusti per Dagospia
CRISTINA COMENCINIPossibile che il divieto ai minori di 14 anni del film di Cristina Comencini, "Quando la notte", sia una notizia così importante da essere lanciato in prima pagina da "Repubblica" accanto a cosucce come i licenziamenti, il disastro in Liguria, il caso Merkel-Berlusconi, il casino alla Camera sulla baby pensione di Lady Bossi? Possibile che Natalia Aspesi sia richiamata al dovere dopo che ha scritto gia' un articolo dello stesso tipo sul film, si intitolava "Uomini, voi non capite", dopo i fischi ricevuti dal film al Festival di Venezia? Intanto qualche domanda.
Perche' non e' stata chiamata Conchita De Gregorio a scrivere, aveva forse di meglio da fare? Seconda domanda, perche' l'articolo e' stato posizionato in maniera poco elegante accanto al flano del film, lanciato proprio in prima pagina? La tesi dell'Aspesi, e della Comencini, e' non solo che i critici maschi a Venezia non hanno capito l'importanza del film proprio perche' uomini, ma che neanche la commissione che ha dato al suo film il divieto ai 14 anni ne ha capito l'importanza o forse ha capito fin troppo bene il suo lato politico, il dramma della maternita', quello che passa nella testa di una donna alle prese dopo la nascita di un figlio, e ha preferito oscurare una visione libera per tutti.
filippo timiOra, capisco che un film vietato ai minori dei 14 anni, non potendo andare in prima serata, rischi un difficile sfruttamento televisivo. Ma non e' che i ragazzini sotto i 14 anni hanno tutta questa voglia di vedere Filippo Timi che sbuffa da orco cattivo per i monti e Claudia Pandolfi che non sa che cazzo fare in vacanza in montagna col pupo piagnone di due anni. Non si e' portata dietro nemmeno una baby sitter, una macchina, un'amica, come si fa di solito tra signore alto borghesi come e' lei nel film. Almeno credo. Certo, a 13 anni preferirei vedere Tintin o i Puffi, magari anche Faust che ha un bel diavolone.
Detto questo, tutti d'accordo a togliere il divieto. Che, in questo caso poi, non ha proprio senso. Meglio vietare al cinema italiano di mettere sempre gli stessi attori, le stesse gag col cane morto e le vecchie che saltano in aria, le stesse battute, di fare film sui nazisti e sugli ebrei.
CLAUDIA PANDOLFI E FILIPPO TIMI NEL FILM DI CRISTINA COMENCINIQuanto alla politica, poi, ha ragione la Comencini che il suo e' un film politico. Come lo era a suo modo anche "Via la foca" di Nando Cicero, giuro che non sto scherzando, che venne accolto in sala a Venezia, per la rassegna mulleriana "Kings of B's", dai critici -maschi - presenti con piu' rigore di quanto sia stata accolto "Quando la notte". Il problema della Comencini e di Tozzi, suo marito e produttore, sta nell'esagerazione della risposta che hanno avuto a Venezia rispetto ai fischi in sala e nell'esagerazione che hanno adesso rispetto al divieto ai 14 anni.
Ingiusto e stupido, come sono quasi tutti i divieti. Giuro di non aver fischiato a Venezia, pur essendo maschio, ma dopo trenta- quaranta minuti di un film molto confuso e esageratamente drammatico, con molti meccanismi narrativi che non funzionano (perche' la mamma lascia le bottiglie cosi' basse dopo che ha visto che possono cadere? Perche' non toglie la sedia da dove il bambino cadra'?), ho cominciato a ridere anch'io di fronte a una serie di dialoghi ingombranti che volevano essere intensi.
mln31 conchita de gregorioE mi sono chiesto perche' a un certo punto compare una ripresa dall'elicottero, altissima senza una spiegazione narrativa o drammatica o perche' venga inquadrata una caffettiera scoppiettante nella cucina della Pandolfi senza che nessuno la spenga (un altro dramma in arrivo?). Nessun Sokurov, Polanski, Friedkin avrebbe inserito delle scene cosi' a caso. E' dai tempi di "La caduta degli angeli ribelli" di Marco Tullio Giordana e da "Masoch" del terzo fratello Taviani che a Venezia si ride e si fischia ai film non riusciti. Certo, c'e' un po' di cattiveria, un po' di tifo da stadio, ma e' anche uno sfogo rispetto a film che mirano in alto e si perdono nel basso.
NATALIA ASPESIE' anche un non abbassare la testa di fronte rispetto alla propria professione, all'amore che tanti hanno per l'andare al cinema, a un non uniformarsi a un parlare di cinema marzul-maltesistico che significa non criticare mai anche quando difetti e errori sono lampanti. Molti produttori e registi, in Italia, pensano che la critica e i festival servano solo a promuovere i film, non a cercare di capire dal cinema delle nuove tendenze artistiche, culturali, a cercare di capire anche il proprio paese.
Qualcuno voleva anche che direttore e presidente della Biennale imponessero in sala a Venezia il divieto di fischiare. Ma come, gia', spesso, ci impongono i film e poi vogliono anche imporre che ci piacciano? Allora preferisco vedermi gli scazzi tra Gelmini e Vendola a "Ballaro'". C'e' piu' cinema. E poi, per favore, toglietemi quella macchinetta del caffe' dal film. Mi inquieta sapere che nessuno ancora l'ha spenta.