Malcom Pagani per Espresso.repubblica.it
MAURIZIO COSTANZOIl bambino che si annoiava dietro ai vetri di una finestra con un portasapone trasformato in microfono ha trovato l'antidoto al tedio lavorando. Quarant'anni di tv, testi musicali, sceneggiature. Ora che gli anni sono 72, le giornate particolari di Maurizio Costanzo hanno finito per somigliarsi. Sveglia, ufficio, palco, programmi radio, scaramanzie. Odia il viola, non sopporta i tempi morti. Inventa, si incazza, legge, progetta. Non saprebbe fare altro perché ognuno, anche il figlio di Iole e Ugo che a 14 anni scriveva lettere a Montanelli, ha il suo destino.
Quello del creatore del talk show italiano che per un quarto di secolo ritmò lunghe notti, discussioni e sentimenti in contrasto è aver segnato un'epoca. Oggi che i giganti sembrano nani, Maurizio, che alto non è mai stato, li osserva issato sullo sgabello dell'ironia. Il teatro Parioli cambia di mano, la tv italiana di segno. Forse è un'illusione ottica. Manifesti di Totò alle pareti, foto con Sordi e Gassmann, ammonimenti stampati a caratteri cubitali: "Signore, benedici chi si fa i cazzi suoi", costanzismi.
Maurizio alterna l'italiano della Crusca al romanesco. L'intervista, come sempre, la guida lui. «Iniziammo al Sistina nell'82, poi ci spostammo al Parioli. Serviva denaro e io chiesi a Berlusconi di tentare l'azzardo: "Ti produco il Costanzo Show solo se vai in onda tutte le sere". Io me volevo ammazzà».
Timore della fatica?
«La prima settimana ero frastornato, annichilito, stravolto dalla tensione. A casa, passavo dallo stato catatonico ai massaggi del terapista. Poi mi ripresi, fu una grande stagione».
Durata un quarto di secolo.
«Esordii con Villaggio e la Borboni. Poi vennero tutti. Facevano la fila. Politici, attori, signor nessuno che sarebbero arrivati a farsi conoscere. Il pubblico era parte dell'arena. Oggi vanno di moda i figuranti. La mia gente era vera. Partecipava, ululava, fischiava, urlava e applaudiva».
E lei al centro della scena. Senza cravatta.
«Berlusconi provò a farmela mettere. Avrò ceduto tre volte in tutto. Io non ho collo. Per me la cravatta non è un vezzo, è un'impiccagione».
Comunque ogni sera modulava il tono: «'Bboni» e controllava il circo. Il pubblico del Parioli e Costanzo. Il suo domatore di riferimento.
«Il domatore non dà mai le spalle alla tigre e il buon presentatore fa lo stesso con la platea. Non si sa mai. Distrarsi è un rischio. Io annusavo l'aria, captavo i segnali. I fischi a De Michelis in galleria al Politeama di Napoli, pochi mesi prima di Tangentopoli, furono più di una profezia sul crollo generale. In mezzo alle tempeste, comunque, stavo a meraviglia».
Berlusconi l'ha mai censurata?
«Ho fatto il Costanzo Show in assoluta libertà. Quando scese in campo gli dissi secco: "Non ti voterò mai, ma mi comporterò bene se tu farai lo stesso". Così è stato. Lo preferivo editore, a opporci alla nascita di Forza Italia fummo in pochi. Io, Letta, Confalonieri. A quelle riunioni c'era anche Mentana».
Era d'accordo con l'idea del Partito-immagine?
«Onestamente non me lo ricordo».
L'ha stupita il successo di La 7?
«No. Enrico portava sulla pelle i segni della gravissima ferita dell'esilio televisivo. Un allontanamento coatto, ingiustificato, con l'odioso sospetto della vendetta politica. Ho sempre sostenuto che dovesse tornare in video».
Ha lasciato il segno?
«E' stato bravo perché ha saputo accendere la rete. Però su La 7 sono pieno di domande. Che senso ha che Fazio lasci la Rai per replicare "Vieni via con me" da un'altra parte?».
Santoro, comunque, a La 7 non andrà. Ha sostenuto che lui e Mentana sono «diversamente liberi». Qualcuno suggerisce che il mancato accordo tra il conduttore di Annozero e la tv di Telecom sia figlio di un baratto. Un favore (remunerativo) fatto dal Governo Berlusconi a Telecom.
«Ho letto. Conosco entrambi da anni. Le dico la verità, la polemica non mi appassiona. In politica tutto è possibile, anche cortesie che sembrano sulla carta fantascientifiche. Però prima ancora di pensare alla censura di Stato, mi indirizzo a una soluzione più semplice. Credo che Michele, a La7, non volesse andare. Immagino preferisca l'idea di essere davvero libero su un network di tv locali».
Una rivisitazione del vecchio telesogno.
«Sta parlando con uno dei suoi inventori. Quella è un'utopia sganciata dagli editori che farebbe ancora molto bene al sistema. Per anni ho sperato si realizzasse, ma non c'erano le condizioni. Sono ancora molto difficili ma a Michele dico, sono qui. Telesogno sarebbe il mio Gerovital».
Mancanze della tv odierna?
«Gabanelli e Iacona sono bravissimi, ma la domanda è un'altra: perché nessuno cerca qualche bravo giornalista di destra bravo?».
La 7 sogna un programma in cui destra e sinistra duellino con Telese e Facci nel ruolo di protagonisti.
«Telese è bravo. Facci invece è quello che ce l'aveva con me perché avevo offerto voce e proscenio a quel grandioso personaggio che è Platinette. Lasciamo perdere. Ma la pregiudiziale verso quelli di destra, ripeto, è sciocca. Perché uno come Pietrangelo Buttafuoco, che incarna la bella cultura siciliana alla Brancati non può fare tv di alto livello? Dove è il problema?»
Quello italiano non è un giornalismo british?
«L'equidistanza non esiste. Un giorno uno mi disse: "sotto elezioni i giornalisti devono avere la faccia neutrale". Io non riesco ad averla, non so cosa significhi. Non puoi non esprimere le tue opinioni, soprattutto nel costume che si fa politica. Pensi alla Mafia. Parlarne non è forse fare politica?».
Ancora Costanzo Show. Il Parioli per lei significa anche l'attentato del maggio 1993.
«Non dovrei essere qui a parlarne. Settanta chili di tritolo, un'azione pianificata per mesi, quattro secondi di miracolosa casualità che hanno salvato la vita a me e a Maria De Filippi. Il cratere sembrava quello visto da Armstrong sulla luna nel '69. I vetrai del quartiere sono diventati ricchi con quella bomba».
Ha avuto fortuna.
«Chelazzi, il magistrato che lavoro con Vigna e oggi purtroppo non c'è più, ricostruì minuziosamente la genesi dell'attentato. Troppe trasmissioni contro la Mafia, troppe magliette bruciate in diretta, troppi ospiti scomodi. Quando vide Falcone in tv Riina disse: "Questo Costanzo mi ha rotto i coglioni" e catanesi e corleonesi salirono a Roma per settimane a studiare le mie abitudini. Matteo Messina Denaro, per dire, era sempre al bar d'angolo di Via Fauro. Per certa gente le sentenze non si discutono, si eseguono».
Lei andò al processo di Firenze.
«Non ebbi cuore di guardare in faccia i mafiosi. Da allora ho la scorta. Pensi che strano, dal '93 la Mafia non ha più messo bombe».
Cosa intende dire?
«Cosa Nostra non è una bocciofila. Se non fa attentati vuol dire che mangia, fino a saziarsi, in altri ambiti».
Ora il Parioli non c'è più.
«Non è vero. Ci sarà ancora, lo guiderà Luigi De Filippo e si continuerà a fare teatro. Soprattutto, me lo lasci dire, quell'esperienza non tramonterà in un garage. Sarebbe stato triste. Economicamente, gli ultimi due anni sono stati un massacro».
Quantifichi.
«Ci ho perso due milioni di euro. La quotidianità dello show era scomparsa e i costi, senza un network alle spalle rimanevano invariati. Ho tre figli, quattro nipoti, nessun conto in Svizzera e avevo lasciato Mediaset, di mia sponte, nel 2007. A fare il salto mi ha convinto mio figlio Saverio. "Molla papà, cambiare fa sempre bene».
Che padre è stato Maurizio Costanzo?
«Un genitore assente. Ci ho provato, qualche volta ce l'ho fatta ma complessivamente, sono stato da un'altra parte. Però i miei figli mi piacciono. Sono forti, consapevoli, coraggiosi».
L'hanno vista resistere 4.391 puntate.
«Vuole sapere il paradosso? A volte mi accuso di avere avuto eccessiva fretta nel dire basta e poi mi calmo, perché non si può percorrere sempre la stessa strada. Sapevo fare quello e il tempo in cui parlare in tv con semplicità era finito. Comunque non sarei mai stato capace di inventarmi qualcosa di nuovo. La lotta con le altre reti, tra nudo, porno e insulti era impari e l'Italia è un paese invidioso, lungo e stretto».
Ovvero?
«Levate tu che me ce metto io».
Lei ha scoperto talenti e consacrato eretici come Carmelo Bene. Qualcuno però la disconosce.
«Non mi curo degli ingrati. Ma giocando tra passato e futuro, per la tv italiana, sarebbe essenziale riprendere a fare un lavoro di casting. Lorenza Lei è un'ottima manager, ma la Rai deve tornare a proporre una visione, interpretare davvero la funzione di servizio pubblico».
Si dice che Costanzo sarà direttore di Rai 5.
«E' una balla. Non ho più l'età e il direttore attuale, D'Alessandro, è bravissimo.
Torniamo indietro. Ricordi giornalistici?
«La mia prima redazione vera fu Paese Sera. Agosto romano. Entro e il capo, Antonio Ghirelli, mi chiede in quale sport sia ferrato. Sussurro "Il ciclismo" senza troppa convinzione. Mi butta le agenzie in mano e mi dice: "Oggi farai l'inviato al giro del Belgio". Firmò Maurice Costance. Un genio, Ghirelli. Ho il sospetto che i giornali del 2011 non funzionino più così».
Il sarcasmo è stata la sua bandiera e Vaime è ancora uno dei suoi amici più cari. La convince la satira di oggi?
«Sono contento che Corrado Guzzanti sia tornato, però sul palco i volti sono sempre gli stessi e il ricambio è un'utopia. Berlusconi e la satira politica su di lui, a forza di ossessioni, hanno occupato tutti gli spazi disponibili. Nessuno satireggia più sui tipi umani, sulle debolezze, sui tic. Il vicino, lo studente, il barista. All'epoca di Lorenzo, Corrado lo faceva. Mi pare che non l'abbiano imitato in molti».
Quello con Maria De Filippi è il suo quarto matrimonio.
«Io, come milioni di altri uomini degli anni '70, avevo bisogno di conferme. Oggi l'uomo non sa neanche più chi è e Maria è una persona solida. Oltre l'affetto c'è l'amicizia. Non è poco. Maria è l'unica donna con cui non ho fatto la comunione dei beni».
Come ha fatto a conservare qualcosa dopo mezzo secolo di lavoro e 25 anni di tv?
«Ho sempre dialogato con me stesso»
Alla dipartita pensa mai?
«Ci penso sempre, se alla mia età non mi ponessi il problema sarei uno stupido. Sono soddisfatto. Ho fatto quello che ho potuto. Dica la verità, con interviste come questa (arrota il dialetto ndr) ve portate avanti per quando muoio». (ride ndr)
Costanzo vota ancora?
«Sempre. L'ultima volta in occasione dei Referendum. Quattro sì e un godimento particolare sul quesito che avrebbe potuto far costruire tante piccole potenziali Fukushima in Italia. Sono un vecchio antinuclearista, io».
C'è un uomo nuovo all'orizzonte?
«Credo in Vendola. Mi piace. E' bravo, a patto di rinunciare a qualche eccesso di demagogia di cui non ha bisogno. Il problema della sinistra italiana è ricostruire un'alternativa. Il tema chiave del berlusconismo calante non è quanto possa ancora resistere Berlusconi, ma quanto riuscirà a crescere una proposta diversa».
Con Berlusconi parla mai?
«E' più di un anno che non lo sento. E' un uomo intelligente, abile, circondato dai proci. Osservandolo, ho l'impressione di una persona braccata».
Con sua figlia Barbara lei ebbe qualche dissidio. L'erede mostrò dubbi nei confronti del suo modello televisivo e lei, duro, rispose "Deve avere qualche problema in famiglia".
«Ricordo. Pato, il fidanzato calciatore, non mi dispiace affatto però».
L'Italia di oggi?
«Di una precarietà disarmante. Prenda la vergogna della spazzatura napoletana».
Dica.
«Forse, se la legalità non è in grado di assolvere ai suoi compiti, il ciclo dei rifiuti deve essere appaltato alla Camorra».
Che fa, provoca?
«Certo. Non ci hanno forse fatto mangiare per anni le mozzarelle alla Diossina decantando le virtù dei prodotti tipici? Nulla va nella direzione giusta e si vive di spontaneismi quasi eversivi. Si sceglie un sito di stoccaggio e il paesino limitrofo si rivolta. Il Governo decide di spostare una piccola parte dei rifiuti in Lombardia e la Lega insorge. Ma siamo impazziti?».
Lei scrisse "Se telefonando". Lo strumento, a leggere i giornali, pare usato senza eccessive prudenze.
«Se le conversazioni intercettate siano penalmente rilevanti lo deciderà un giudice, comportamentalmente, però, sono devastanti. Non riesco a minimizzare. Il linguaggio rappresenta la spia di un'essenza e scoprire di avere dirigenti della tv di Stato che dicono di essere arrapati come bestie non mi rende contento».
Mauro Masi lo conosce?
«Da tempo. Fare il dg della Rai era il suo sogno. Posso dirle che Santoro è stato fortunato. Ha avuto culo. Magari avessero telefonato a me in diretta. Per Michele, quella è stata più di una medaglia».
Ha mai incontrato Bisignani?
«Mai visto. (Apre un cassetto, tira fuori una voluminosa rubrica, inizia a sfogliarla, legge ad alta voce i cognomi alle lettera b. Bianchi, Biasimi, Bigoni). Guardi qui, Bisignani non c'è. Evidentemente io non conto un cazzo. Ha capito quanto incido poco?».
La P4 di oggi è diversa dalla P2 di allora?
«Nella tenaglia di Gelli finii per caso, è una vicenda che mi è pesata e sinceramente mi fa impressione che qualcuno ancora me ne parli. Ammisi l'errore dopo tre giorni, ho la coscienza a posto e so che Gelli ce l'ha ancora con me. Sono stato l'unico a scardinare il meccanismo».
Bisignani faceva Lobby?
«Ho letto una bellissima lettera di Claudio Velardi l'altro giorno sul Corriere della Sera. Rivendica il ruolo delle lobby, che dice, sono un'entità importante. Ma lo saprà, questo è sempre il Paese di "Mi manda Picone". Una cosa seria diventa subito operetta, farsa, macchietta».
Le pare grave?
«Ma no, bisogna ridere per non piangere. Se Stefania Prestigiacomo, nelle telefonate con Bisignani si sente un contorno, il Ministro Fitto che dovrebbe essere? Una posata?».