Giordano Stabile per "la Stampa"
SOLDATO FA IL SALUTO DAVANTI ALLA FOTO DI GHEDDAFI«Sono il re dei re dell'Africa». A parlare era il Gheddafi all'apice della sua potenza, appena due anni fa, presidente di turno dell'Unione Africana, seduto su un forziere di oro e petrolio, che distribuiva con generosità ai suoi amici nel continente, incontrastato in patria e di nuovo ben accetto in Occidente.
Ora il raiss è chiuso nel suo bunker in una Tripoli dove, secondo le notizie che filtrano fino agli insorti a Bengasi, «bisogna fare quaranta chilometri per trovare un po' di benzina e se non ti schieri con il regime in piazza muori di fame». Sotto assedio, ma con ancora la carta africana da giocare.
La mediazione dell'Ua sta prendendo corpo. Dal summit nella Guinea equatoriale è arrivato un compromesso che ha smosso anche il Consiglio nazionale di Transizione (Cnt) degli insorti. L'idea di escludere il colonnello dalle trattative è stata appaiata al rifiuto di dar seguito al mandato di arresto spiccato dalla Corte penale internazionale dell'Aja. Ai Paesi membri è stato chiesto di non eseguirlo.
GHEDDAFI IN TVDue passi per avvicinare le parti. E ieri, da Bengasi è arrivata la prima apertura. Ha parlato Mustafa Abdel Jalil, presidente del Cnt: «Gheddafi potrà vivere in Libia, purché lasci il potere». Una vita da sorvegliato speciale, precisa: «Se vorrà rimanere, saremo noi a decidere dove, e tutti i suoi movimenti saranno sottoposti a una supervisione internazionale».
Il Cnt, nel suo complesso, ha però poco dopo frenato il presidente: no al piano, «in quanto consentirebbe a Gheddafi di restare al potere». E il colonnello, a questa condizione, non intende rinunciare. Venerdì, quando è ricomparso in pubblico dopo due settimane, nella Piazza verde di Tripoli gremita di sostenitori, non si sa quanto volontari, lo ha detto e ripetuto: «Non mi arrendo, combatterò fino alla fine».
RIBELLI LIBICIMa intanto il governo di Tripoli, con più entusiasmo di Bengasi, ha accettato il piano africano. Anche perché include l'amnistia per «eventuali» crimini commessi durante i cinque mesi di guerra civile e lo scongelamento dei beni della famiglia Gheddafi bloccati all'estero, circa 70 miliardi di dollari.
Ribelli libiciGheddafi dà molto credito al presidente sudafricano Jacob Zuma, che oggi vola a Mosca a sottoporre il piano al presidente Dmitry Medveved, sempre più freddo con l'azione militare della Nato. In vista c'è il vertice del Gruppo di contatto (Usa, Europa, Russia, Paesi arabi) sulla Libia, che si riunisce il 15 luglio a Istanbul (ieri la Turchia ha riconosciuto il Consiglio degli insorti) per cercare di trovare un via di uscita all'impasse sul terreno. E soprattutto la conferenza di pace prevista ad Addis Abeba, dove Zuma spera di trionfare come «pacificatore della Libia».
sarkozyPrima però dovrà fare progressi sul fronte delle cancellerie occidentali e su quello degli insorti, che non sono disposti a tollerare, come ha detto l'inviato al vertice dell'Ua in Guinea, Mansour Saif al Nasr, «un ritorno in gioco di Gheddafi». Per loro il documento dovrà mettere nero su bianco che il raiss «non avrà più nessun ruolo nel Paese». Se no non lo firmano.
A Bengasi sperano ancora una spallata che li porti alla vittoria sul campo. «Fra due giorni lanceremo l'offensiva su Tripoli - ha azzardato il portavoce militare, Ahmed Omar Bani -: ci saranno novità sul fronte Sud». È il fronte che scende dalle montagne al confine con la Tunisia, dove la Francia ha paracadutato nei giorni scorsi armi e munizioni in abbondanza. Gli insorti sono arrivati al villaggio strategico di Bir Al Ghanam, a 50 chilometri da Tripoli. È la maggiore avanzata dalla metà di febbraio, quando i rivoluzionari a Bengasi giuravano che la capitale sarebbe caduta «in tre giorni». Ora sono tutti più prudenti.