Quirino Conti per Dagospia
Quale profondo sospiro di sollievo, intenso e risanatore, deve aver scosso e agitato - simile a un tuono - le rosacee nuvolaglie del più alto dei Cieli, quando, su maliziosa indiscrezione del solito impertinente Alexander McQueen, durante la recente settimana milanese della Moda maschile (più che altro, un weekend), da lì, Gianni Versace veniva a sapere che persino lei, l'Incorruttibile, l'Integerrima, l'Intransigente, insomma lei, Miuccia Prada, Nostra Signora della Concettualità e del Rigore più scarni e sperimentali, anche lei, dunque, aveva capitolato: cedendo tra le braccia lussuriose del Decorativo, dell'Esornativo e dell'Iper-Ornato.
Quirino Conti by FalsiniProprio lei, andava rimuginando soddisfatto Versace, l'unica, sola, vera badessa di quella nuova Port-Royal dello Stile, l'inflessibile mistica di quel chiostro globale dove il giansenismo delle Forme sperimenta astinenze e digiuni compositivi inauditi e veglie di una severità progettuale mai vista prima.
Lei, l'"Etiamsi omnes, ego non", sì, proprio lei, l'unica e sola contro tutto e tutti, aveva ceduto alle sconce proposte di Dionysos. Tanto che, a ripensare a quello show, si sarebbe potuto anche supporre di essere semplicemente caduti nel più classico dei déjà vu, o, più banalmente, in un abbaglio. Oppure di aver solo dato un indirizzo inesatto al tassista, o di aver cliccato nel sito di qualcun altro.
Di lei, dell'assidua frequentatrice di artisti e architetti tra i più intemerati al mondo, di lei infatti, non restava riconoscibile che quello spazio: bello e poetico - così verde e celeste - come una bella installazione. Quando, vuoto di qualsiasi presenza, a buon diritto avrebbe potuto persino essere scambiato per una performance finalmente ben riuscita nel generale, sgangherato caos veneziano.
Bellissimo, in quel luogo senza eufemismi e tanto parco di effusioni. Davvero intenso e perfetto. Peccato però che, come sempre capita nei paesaggi più vigorosi, sui palcoscenici, o nelle Città Ideali, a guastarla poi, quell'ottima misura, fossero entrati - devastanti - l'animazione confusa e il caos involontario degli inevitabili umani. Peraltro fondamentali dove necessariamente si deve fare business.
Peccato davvero: altrimenti quello spazio, che già da solo racchiudeva in sé tutto ciò a cui la colonna sonora alludeva - una Summertime ritmata che ti veniva addosso come un odoroso zefiro -, quel solo spazio, così, nudo e crudo, sarebbe stato sufficiente a dire tutta la leggerezza che intendeva promettere Prada per la futura bella stagione.
Ma poiché non di rado anche le migliori affermazioni di principio stentano a coincidere poi con la concreta materializzazione del loro assunto, anche nel caso dell'impeccabile Miuccia Prada, quelle promesse di leggerezza dovevano finire per disperdersi in astute scriteriatezze efebiche e sorprendenti frivolità.
Tanto da rischiare di dover riascoltare, nella memoria, l'assennato monito di chi, alla corte di Luigi XIV, insospettito da tanto infiocchettato e gaio colorismo, aveva iniziato a profetizzare per tutto ciò un rischiosissimo finale, anche se due Luigi più tardi; a causa di quell'infiacchito modo di conciarsi che, senza scendere in scabrosi dettagli, sembrava proprio non poter promettere nulla di buono.
Vanesi, frivolissimi, più che leggeri fatui, scervellati, infiorettati e iper-decorati, persino scintillanti di borchie e pietre colorate, e con in testa un solo scopo apparente: trasformare cioè - non potendo in quei panni, si presume, muovere un solo dito per qualsiasi altra attività, specie lavorativa -, dunque trasformare il tenace ambiente del Golf in un circolo di scatenate jeunes filles letteralmente en fleur.
Che fosse tutta colpa di quella musa-ispiratore, artista e ricamatore di grido da qualche tempo inseparabile cicisbeo della grande Miuccia? Che fosse stato lui, il celebratissimo Vezzoli, a far illanguidire a quel modo il suo pensoso, bel giovane uomo delle scorse stagioni, facendolo scivolare in quel neutro limbo di inghirlandatissimi seppur poetici, scapestrati nullafacenti? Chissà.
Oppure, magari, ancora più semplicemente, non si era trattato che di un banale errore di indirizzo e di spedizioni (e non sarebbe stato neppure impossibile, con tutti questi precari smidollati in giro): giacché quel che si era appena visto sulla pedana di Dolce e Gabbana avrebbe potuto essere una perfetta, impeccabile e coerente collezione Prada.
Ma perfetta fino al dettaglio, al minimo particolare, teorico come pratico. Per proporzioni ardite ma colme di grazia, sobrietà accattivante, asciuttezza d'aggettivazione, classicità, modernità e charme assoluto. Perfetta e come appena generata dalla mente audace di quell'imperturbabile sperimentatrice di dissonanze.
Sì, evidentemente non doveva essersi trattato che di un banalissimo errore di consegna.
E intanto, dal suo più alto e radioso cerchio di luce beata, lui, Gianni Versace, se la rideva soddisfatto e appagato. Di quelle scarpe scintillanti, quelle camiciole multi-fantasia borchiate e ingioiellate, quei vezzosi bandana e quei berrettucci lievi e sconsiderati: eccessivi persino per un balletto Via Pál in versione gay. Certo, con minor rabbia e impeto dei suoi muscolosi vanesi di un tempo. Ma, come si sa, Prada è una signora.
Comunque, non bastando questo po' po' di risarcimento - dal valore doppio, evidentemente, giacché elargito niente meno che dalla Madre Generale di tutte le Trappe estetiche sparse lungo il Tempo e gli Stili -, ecco che l'incorreggibile, malevolo McQueen gli segnala un ennesimo - probabile -, ulteriore, inspiegabile errore d'indirizzo e di consegna. Il domatore di ogni Medusa non credette ai suoi occhi: tanto che iniziò a stropicciarseli come un bambino. Mentre l'altro, l'inglese, continuava a dargli di gomito ridendosela a crepapelle.
Fu allora che Versace non poté fare a meno di sporgersi e, dietro una fronzuta cortina di cirri color albicocca e oro fino, scorse qualcosa che lo lasciò senza fiato. Tanto che, a quel punto, si volse verso il Sommo Bene che senza posa riluce in quel luogo d'immortali e, di cuore, "Grazie, " gli sussurrò, commosso e davvero appagato.
Ma cosa era successo? Cosa gli era capitato di vedere? Era successo che anche da D&G, anche quella che sfilava sotto quell'etichetta non era - presumibilmente - la collezione preparata da quei due portentosi, eterni ragazzi di sempre. Piuttosto - e gli era bastato un colpo d'occhio per rendersene conto -, ciò che con tutta probabilità sua sorella Donatella aveva costruito tirando fuori (con un immane lavoro di archivio e risalendo quasi filologicamente ai suoi storici, fregiatissimi scamiciati-foulard degli anni più audaci), dunque tirando fuori input, disegni, stampe e stampati per, appunto, foulard, scialli, plaid e sciarpe di ogni genere e varietà.
Fu, comunque, soltanto la fremente commozione di tutti gli abitanti di quel luogo splendente come zaffiro, Serafini e Cherubini compresi, a fargli intendere, ammiccando, che quella invece era davvero D&G e che non c'era stato alcun errore. Almeno di consegna, se non di valutazione.
Allora Gianni Versace sospirò di nuovo, come sollevato da un gravoso fardello (semmai i beati possano averne): e a quel punto fu come un vento, una brezza che lambì, arricciandolo, tutto quel paradiso di luce e perfezione.
Si disse allora, e tutti ne convennero - tutti, nessuno escluso -, che doveva aver lavorato davvero bene se quei due talenti gli rendevano un omaggio tanto evidente e un così palese tributo. Cosicché, sdraiatosi e incrociate le braccia dietro alla nuca, senza più alcun peso, si abbandonò a quel pulviscolo d'oro che empiva ora l'aria di una immutabile primavera: e socchiuse gli occhi. Si mise così davvero a riposare. Per i secoli eterni, per le eterne eternità fuori dal Tempo.
Ciò che aveva appena ricevuto era il suo maggior risarcimento e il compenso più desiderato. Ora che, dopo Jean-Paul Gaultier la passata stagione a Parigi, adesso anche da Prada, anche da loro, si era tutti naufragati a Citera, l'isola di ogni piacere e godimento; lì dove ogni creatura non è che una fioritura di fantasie e ornamenti. Di decori, fregi e intenerenti vaghezze: Versace, naturalmente, null'altro che Versace, unicamente Versace.
Così come da quei due ragazzacci. Dunque, ora potevano sfilare anche tutti gli altri: a Milano, a Parigi, e dovunque avessero voluto. Quotati o non quotati in Borsa, indebitati o "liquidi", creativi e liberi o vittime del mercato. Belli, brutti, giovani, decrepiti, tonici oppure sfatti. Tanto, per lui...
Anche Alexander McQueen, a quel punto, parve quietarsi: e tutto, d'un colpo, tornò nella radiosa, perfetta armonia dei Pacificati fuori dal Tempo.