Da "il Foglio"
Bossi e MaroniNon c'è bisogno di aspettare domenica prossima e scrutare in lontananza il cielo di Pontida, in attesa del principale e più significativo raduno annuale della Lega, per capire dove tira il vento del nord. Certo, sarà l'appuntamento sul sacro prato che permetterà di misurare con precisione gli attuali umori della base e gli spostamenti interni dei vertici leghisti, e verificare quanto stretto e tortuoso sia il vicolo in cui si è infilato il movimento di Umberto Bossi.
bossi calderoliDopo la batosta elettorale alle amministrative, ieri gli esiti dei referendum - cui i leghisti si sono presentati in ordine sparso - infausti per la maggioranza, hanno costretto il vecchio Capo e i suoi colonnelli a riunirsi di nuovo in via Bellerio. Forse per impedire la caduta libera di un partito che ormai appare spaccato, sia in maniera trasversale, sia verticale. Il ministro dell'Interno Roberto Maroni, che da tempo ha fiutato il vento e incalza il ministro dell'Economia Giulio Tremonti per avere un orizzonte da offrire ai militanti leghisti partendo dal tema fiscale, cerca una via d'uscita dall'impasse presente per permettere al Carroccio di continuare a essere il partito del nord.
CALDEROLI BOSSISostenuto anche dal ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli che, nonostante il sodalizio con Tremonti, ieri ha dichiarato: "Alle amministrative abbiamo preso la prima sberla, ora con il referendum è arrivata la seconda sberla e non vorrei che quella di prendere sberle diventasse un'abitudine...". Probabilmente Umberto Bossi, che due giorni fa aveva invitato a disertare le urne, ha fatto un errore tattico. E forse, per la prima volta, non gli verrà perdonato dai suoi seguaci: l'elettorato leghista, soprattutto in Veneto, ha invece optato per un voto massiccio, e inequivocabile di protesta.
Bossi CalderoliLa sua dichiarazione: "Il referendum è assolutamente inutile, spero che la gente non vada a votare", va in direzione opposta alle scelte dei soldati semplici e dei luogotenenti leghisti che invece avevano già manifestato la volontà di votare molti sì. Non solo il sindaco di Varese, Attilio Fontana, da sempre esponente, anche se moderato, della Lega di lotta, che si era già speso per il sì sui quesiti che riguardano la gestione dell'erogazione dell'acqua. Lo ha fatto anche Luca Zaia che, dopo un anno di comando dall'immagine un po' esitante, ha preso sui referendum la strada dell'opposizione alla maggioranza di governo alla quale appartiene, infilando una serie di sì.
BOBO MARONI DA CORONA STARSTutti e quattro, per l'esattezza. E forse non solo per dare un segnale ai suoi elettori, ma anche perché ha intuito che la battaglia congressuale interna che riprenderà a settembre - dopo un'estate di raduni che per la Lega sono vitali, e chissà con che clima politico nazionale - potrebbe volgere a favore del sindaco di Verona Flavio Tosi, fedelissimo maroniano (lui non ha votato ai referendum, ma ha dichiarato che il responso è un "segnale chiaro" al premier). Rafforzando la linea di "rupture" di Maroni.
tremonti maroni bigPer la base non è colpa del Cav. Ma la maggiore evidenza, a una settimana da Pontida, è che nella base del partito ormai i mal di pancia rischiano di trasformarsi in gastriti croniche. Basta leggere le mail che arrivano a un sito che da molti mesi raccoglie i malumori di numerosi militanti, simpatizzanti ed elettori (www.padania. org). I leghisti, invece di usare l'alleanza con il Cav. come alibi per autoassolversi o assolvere i propri dirigenti, accusano apertamente i propri capi di essere responsabili della débâcle.
BERLUSCONI MARONIE hanno messo in fila, anzi in ordine alfabetico, i loro nomi. E cioè tutti i parlamentari, compreso Umberto Bossi, la cui leadership comincia a essere messa in discussione, con toni più severi rispetto a quelli usati in passato. I dissidenti oggi non sono i secessionisti (già molti autonomisti se ne sono andati o sono stati espulsi). Chi punta l'indice verso i vertici chiede una cosa sola: il rinnovamento della classe dirigente, ormai ammalata di "poltronismo".
La Padania 14 GiugnoSono infuriati al punto, sul sito-sfogo di Padania.org, che ieri è apparso un sondaggio che dovrebbe far tremare i polsi a chi deve affrontare questa fase delicata. E' una specie di referendum interno, e pone diversi quesiti sulla Lega, fra cui uno che suona addirittura blasfemo per chi conosce il movimento padano. Eccolo: "Bossi deve lasciare la guida del partito?". Davanti a un interrogativo del genere, il timore che il Capo possa essere fischiato a Pontida pare quasi irrilevante. Ma per sua fortuna, in questo caso il referendum non ha raggiunto il quorum.
2- COSÌ BOBO SI ELEGGE CAPO DEL PARTITO DI LOTTA
Paolo Bracalini per "il Giornale"
Ma dove vuole arrivare Bobo Maroni? La partita del ministro è doppia, e non semplice. C'è quella col Pdl,che però passa da Bossi e Tremonti. E poi c'è quella interna alla Lega, con un rapporto di conflitto con l'ala di Gemonio, il cerchio di consiglieri di Bossi, che cerca di ridimensionarne il peso in ogni modo. Spesso dà l'impressione di muoversi da solo.
GIOVANI SOSTENITORI LEGHISTISul referendum, che Bossi ha invitato a disertare, Maroni si è detto convinto sostenitore dei due sì all'acqua pubblica, un tema che «la Lega ha sempre sostenuto», ha detto facendosi portavoce del dna leghista contro i berluscones del Carroccio (e diversamente dal più guardingo Umberto...) e mettendo un po' il cappello sulla vittoria del referendum, che nel popolo della Lega era più sentito di quanto i vertici non abbiano riconosciuto. Così Maroni si è presentato (anche sbilanciandosi prima del dovuto sul raggiungimento del quorum) come il capo della Lega di lotta (seguito a ruota dall'abilissimo Zaia), contro quella berlusconiana in difficoltà.
Molti sono convinti che stia lavorando per una sua investitura personale, magari a Palazzo Chigi, ma per ora sono ipotesi avveniristiche. Certo è che Bobo è diventato l'attaccante della Lega, quello incaricato di dire le cose scomode (mentre Calderoli è il pontiere), il referente dei mal di pancia leghisti versus il Cavaliere, il dichiaratore ufficiale di ultimatum (quasi sempre tramite interviste agli amici del Corriere ...).
Flavio TosiIl partito è con lui, e le uscite nervose (e che innervosiscono anche Berlusconi) non fanno che consolidarlo nel ruolo di capo operativo del Carroccio, amante del movimentismo senza compromessi. Gli riescono bene, anche perché certe scottature recenti non sono affatto passate. I suoi fedelissimi raccontano di un Bobo molto irritato per l'immobilismo del premier sugli sbarchi («a parte qualche gita a Lampedusa... »), per l'atlantismo da parata di certi ministri Pdl (Esteri e Difesa), per l'isolamento in cui è stato lasciato nella gestione dell'emergenza profughi. In particolare sembra che Maroni abbia un conto in sospeso con i La Russa.
LUCA ZAIANon solo con Ignazio, ministro della Difesa, ma anche Romano, fratello e assessore alla Protezione civile della Lombardia. Maroni lamenta che,nonostante un accordo per l'accoglienza dei profughi dalla Libia, tutte le Regioni stiano seguendo le procedure «tranne la Lombardia »: «Mi sembra strano che la più grande Regione d'Italia non sia in grado di fare quello che fanno il Molise e la Basilicata».
Qualcosa deve cambiare, perché la popolarità di Maroni, prima alle stelle grazie ai successi con la mafia, rischia un contraccolpo.
Su questo il ministro ha avuto da Bossi carta bianca per trattare con Berlusconi un impegno per «farsi portavoce della richiesta di fermare i bombardamenti e lasciare spazio alla diplomazia». Perché se in Tunisia, dove c'è un governo, le coste sono controllate, la guerra in Libia impedisce di prevenire gli sbarchi, quindi va fermata. Se non con la diplomazia, con un blocco navale della Nato.
VIGNETTA VINCINO REFERENDUM BOSSI BORGHEZIOMaroni è il più «berluscoscettico » tra i capi leghisti. A gennaio, nel pieno della crisi di governo, aveva spiegato che la Lega era già pronta al voto e che sarebbe stata alleata del Pdl anche (in realtà, volentieri) senza Berlusconi candidato premier. Ma anche con Tremonti ci sono delle ruggini. Sempre Maroni era stato il più duro dopo le amministrative, parlando di una brutta «sberla», termine che oggi Calderoli ripropone per il referendum.
VIGNETTA VINCINO BERLUSCONI PERDENTEÈ chiaro che Maroni, molto più di Bossi, lavora per un dopo Berlusconi. Ma Bobo è anche preoccupato per le sorti del suo partito, che vede scosso da molte minacce. Sarebbe già in grado di prenderlo in mano, ma non lo fa. E i suoi gli rimproverano quello che lui rinfaccia a Tremonti: troppa prudenza.