1- VENDOLA: ORA PRIMARIE E SUL PALCO «TORNA» L'ULIVO IL LEADER PD COSTRETTO A CONDIVIDERE IL SUCCESSO
Maria Teresa Meli per Corriere della Sera
Vendola corre a Milano, da Pisapia; Di Pietro si fionda a Napoli, da de Magistris. Sono stati i sindaci i protagonisti di questa vittoria elettorale, ma non c'è leader del centrosinistra che non voglia mettere il cappello sul risultato. Dalla foga dei big si salva giusto Zedda, perché evidentemente Cagliari viene giudicata fuori mano. Anche Bersani aveva in mente la sua festa: il capo del partito più grande di quella coalizione, avrebbe voluto farla in proprio per dimostrare che è stato il Pd il vero vincitore.
Ma non gli è stato possibile. Prima, i dirigenti della Sel di Vendola hanno chiesto di fare insieme la manifestazione. Vero che erano stati alleati in queste elezioni, però il Pd non aveva grande voglia di condividere il successo, per cui la risposta iniziale era stata «no» .
Peccato che gli uomini di Di Pietro, senza domandare niente a nessuno, si siano presentati, non invitati, all'appuntamento con le loro bandiere. A quel punto al Partito democratico hanno preferito rischiare di mandare in piazza un «sequel» dell'Unione, piuttosto che restar soli con l'Idv. Così il movimento di Vendola è stato sdoganato.
FESTA A MILANO PER PISAPIAUnica condizione posta da Bersani era di essere solo sul palco, per prendersi il «suo» , ossia l'applauso per aver portato il Pd alla vittoria. Non gli è stato possibile neanche questo. A sorpresa, si è presentato Prodi, che pure si era speso con moderazione per queste elezioni.
«È qui perché ha cominciato la sua campagna per essere eletto presidente della Repubblica» erano i commenti nel retropalco, dove stazionavano i maggiorenti, da Franceschini a Bindi, passando per D'Alema e Veltroni. Nessuno voleva mancare: tutti lì a dividersi uno spicchio del successo di quelli che qualcuno ha soprannominato scherzando i «candidati per sbaglio» .
Nel senso che non erano certo né Pisapia né de Magistris, né Zedda gli uomini scelti dal Pd per questa competizione elettorale. In questo giorno di vittoria, com'è ovvio, ogni leader tiene difficilmente a freno le proprie ambizioni. Vendola si sbilancia: «Ha vinto il centrosinistra che vuole le primarie e non si torna indietro: il prossimo obiettivo è Palazzo Chigi» .
FESTA A MILANO PER PISAPIAIl governatore della Puglia è in pista e lo vuole far sapere. Bersani non si tira indietro. Potrebbe essere il candidato premier: «Io ci sto» , continua a ripetere ai collaboratori. Fosse per lui il segretario del Pd non chiuderebbe la strada alle primarie invocate da Vendola. E, a sorpresa, caldeggiate anche da Fioroni: «Secondo me potrebbero tenersi già a novembre, perché prima scegliamo il leader e meglio è: chiaramente saranno tutti candidati» .
Fosse per lui, Bersani oserebbe anche di più: «Le elezioni sono la strada maestra. Basta con le alchimie politicistiche delle alleanze, si parte dal centrosinistra, dopodiché non si chiude la porta a nessuno» .
Insomma, Casini se vuole venire, venga, non pensi di venire corteggiato all'infinito. Ma Bersani è il segretario del Pd e deve tener conto non solo di chi è d'accordo con lui e vorrebbe capitalizzare subito la vittoria (Franceschini), ma anche di chi la pensa diversamente.
FESTA A MILANO PER PISAPIAD'Alema, per esempio, che punta a un governo di transizione e continua a corteggiare l'Udc. E Veltroni, che vorrebbe un esecutivo di decantazione per evitare che il Pd imbocchi di nuovo la strada dell'Unione. Perciò Bersani apre alla riforma elettorale, però vorrebbe sfruttare il momento favorevole alle sue ambizioni, senza farsi impaniare nella rete delle trattative infinite. «Il Pd non faccia gli errori del passato: nessun giochino di palazzo» ammonisce Nicola Latorre. La pensa così anche il segretario. E non solo lui. Riuscirà il Partito democratico a evitare quella che rischia di diventare una coazione a ripetere?
2- RIECCO L'UNIONE: BERSANI OSTAGGIO DI PRODI
Laura Cesaretti per Il Giornale
A rovinare la festa al povero Bersani, alla fine, ci è riuscito solo Romano Prodi.
Il segretario Pd aveva arginato l'offensiva della rinascente Unione, che premeva per andare in piazza tutti insieme, e condividere il palco della vittoria. «È una nostra manifestazione di partito, non di coalizione», avevano spiegato da largo del Nazareno ai dirigenti di Sel che insistevano.
Alla fine si è giunti ad un compromesso, anche perché nel frattempo i dipietristi, senza chiedere permesso, avevano già occupato mezzo Pantheon con le bandiere Idv: in piazza sì, sul palco no, «parla solo Bersani», che non aveva alcuna intenzione di deprimere subito gli elettori con una riedizione delle foto di gruppo dell'infausto biennio 2006-2008.
Ma il leader Pd non aveva fatto i conti con lui, Prodi: il redivivo Professore spunta all'improvviso, quando la piazza è già piena e Bersani sta arringando con verve il suo popolo esultante (esordio fulminante rubato alla controfigura Crozza: «Ueh ragazzi, abbiamo smacchiato il giaguaro!»).
Fende la folla, stringe mani, ignora D'Alema e Veltroni e tra gli applausi si dirige dritto vero il palco, lo scala e si piazza al fianco del segretario. Il quale ha un breve sussulto, poi lo abbraccia: «Ciao Romano, questa è casa tua».
de magistrisEcco: al pubblico è sembrato un colpo a sorpresa confezionato ad arte al Nazareno. Invece, dietro al palco, si coglievano sguardi basiti e irritazione. «Non ce l'ha fatta, ha dovuto rubare la scena a Bersani», sibila un dirigente vicino al segretario, e conferma: non aveva avvertito nessuno, Prodi, né concordato di salire sul podio: è piombato a sorpresa. «È venuto a prenotare il Quirinale, noi vinciamo e lui viene a incassare», inveisce un ex Ds di lungo corso.
Come sempre, la vittoria rischia di avere molti padri. Ma per Bersani quello di ieri resta comunque un giorno fausto: il segretario del Pd può rivendicare una vittoria di grande portata simbolica per il centrosinistra, e non manca di sottolinearlo: «È stata una valanga: nelle amministrative del 2006 stravincemmo prendendo 55 città, oggi ne abbiamo prese 66».
DE MAGISTRIS resizeE pazienza se, come notano i leader di Sel spuntati ieri festanti a Montecitorio (Mussi, Cento, Giordano, persino Paolo Ferrero), «se al ballottaggio andavano Boeri, Morcone e Cabras (i candidati del Pd, ndr) oggi era il Cavaliere a stappare champagne». Il Pd può rivendicare di averne comunque eletti tanti suoi, di sindaci. E poi, ragionano al Nazareno, «restiamo noi il baricentro di ogni coalizione possibile». Il Pd si divide tra chi, come il segretario o il capogruppo Franceschini, punta ad elezioni entro l'anno (con Bersani candidato, è l'idea) e chi spera in un «governo di transizione» per fare la legge elettorale e l'accordo con Casini, come D'Alema.
DE MAGISTRIS DI PIETRO resizeTra chi guarda a sinistra e pensa già ad un partito unico con Vendola e pezzi di Idv (dove Di Pietro incassa una batosta e De Magistris, quello che da pm con l'inchiesta Why not, poi abortita, fece cadere il governo Prodi, si prepara alla resa dei conti); e chi punta sul Terzo Polo. Ma la verità, dicono ai piani alti del Pd, è che «ora dipende tutto dalle mosse del centrodestra», e della Lega in particolare.
«Se Berlusconi spariglia, e come Zapatero indica un successore, la Grande Coalizione cade e tutto si rimescola», spiega il senatore Ceccanti. E qualcuno già paventa per l'autunno un governo di larghe intese in cui al Pd toccherà mettere il proprio timbro sulla prossima manovra lacrime e sangue. «Ma se il Cavaliere si blinda e cerca di restare lui il capo, si andrà de plano all'ammucchiata TTB», tutti tranne Berlusconi.