Francesco Bonami per "la Stampa"
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«Dall'Orinale al Carnale: la fine dell'arte contemporanea». Potrebbe essere il titolo di un mio nuovo libercolo. L'orinale, s'intende, è quello famoso capovolto da Marcel Duchamp in una galleria di New York nel 1917, che poi è diventato lo stura lavandini di quel potentissimo fiotto d'acqua che è l'arte contemporanea fuoriuscita dal grande tubo della storia dell'arte.
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E il carnale? Beh, il carnale è l'ultima roccaforte dell'arte dei nostri giorni dove gli artisti non mostrano più quadri, sculture, video, fotografie e nemmeno oggetti comuni, come appunto era l'orinatoio, ma persone in carne e ossa.
Ora, andare a vedere corpi non è una novità. Si fa la fila a Bolzano per vedere la mummia del Messner preistorico, Ötzi. Ma fare la fila per vedere una persona viva che dorme dentro una teca di vetro nell'atrio del più famoso museo di arte moderna del mondo, il Moma, è davvero l'ultima spiaggia della lunga parabola di quella che definiamo arte contemporanea. Certo nella teca al Moma non c'è una persona qualsiasi ma la famosa attrice, premio Oscar, Tilda Swinton, icona molto chic, corteggiata da mondi diversi ma sempre molto androgeni e snob.
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Dal mondo del cinema a quello della moda, e ora a quello dell'arte. Nella teca la sexissima signora non s'inventa nulla di nuovo ma da bravissima attrice rimette in scena in modo impeccabile, se fa finta di dormire lo fa veramente bene, una performance di una vera artista, Cornelia Parker, che s'intitolava Maybe , forse. Forse però di questo remake ne faremmo a meno. Anche se il successo e la popolarità sembrano assicurati vista la valanga di tweet che commentano la cosa.
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È chiaro che se paghi 25 dollari per entrare in un museo vuoi vedere proprio tutto, compresa la signora Swinton nell'acquario. Dopo di che te ne vai a vedere i Picasso, i Jackson Pollock, gli Andy Warhol. Maybe , forse, è proprio questo che il Moma vuole fare, attirare il branco di squali o piranha del pubblico con quell'esca viva che è l'opera d'arte che respira per poi acchiapparli e portarli ai piani superiori dove le opere non respirano ma almeno ti parlano. Pare che il trucco funzioni.
Non molto tempo fa, più di 700 mila persone passarono dal museo di New York per vedere quel fenomeno da baraccone che fu la performance di Marina Abramovic, The artist is present , l'artista è presente. In quel caso l'autore dell'opera, l'Abramovic, rimase seduta per vari mesi su una sedia a guardare negli occhi in silenzio tutti coloro che avessero voglia di sedersi davanti a lei. Un trionfo.
Contemporaneamente, all'ultimo piano del museo, nella grande retrospettiva dedicata a questa mamma dell'arte immateriale, venivano rimesse insieme altre performance, tipo quella di un uomo e una donna nella luce di una porta dove lo spettatore doveva passare, evitando se possibile di strusciarsi addosso ai dettagli dell'opera vivente. La gente apprezza. Forse perché una persona intimidisce meno di un capolavoro. O forse perché si tratta più di teatro che di arte contemporanea.
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Ci sono casi anche un po' estremi che invece il pubblico non apprezza troppo, tipo la messa in scena del Ratto d'Europa di Tiziano da parte dell'artista berbero e un po' barbaro Adel Abdessemed, dove uomini di colore praticavano sesso con donne bianche, in diretta chiaramente. L'artista però che più di ogni altro ha sviluppato la tecnica dell'arte carnale o meglio orale è il tedesco Tino Sehgal.
Lui non crea performance, ci mancherebbe, termine troppo demodé , ma situazioni. Il Guggenheim, sempre a New York, gli ha dedicato pure una personale. La mostra consisteva in persone o personaggi di prima, mezza e terza età che come dei Virgilio contemporanei ti accompagnavano su per la famosa spirale del museo facendoti domande sul progresso. Era bello e anche emozionante trovarsi in quella situazione.
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Ma torniamo alla Swinton. L'operazione, arte + attrice famosa, è un po' raschiare il fondo del barile. In questo tipo di operazioni il nostro Francesco Vezzoli è un maestro. Vabbé la caccia grossa al pubblico, ma confonderlo a questo modo, mescolando la celebrità con la cerebrolesità sembra un po' eccessivo e anche immorale. Sicuramente vedere cosi da vicino una famosa attrice non capita tutti i giorni, in particolare mentre dorme. Eppure mi sembra un modo per far finta di fare scandalo senza assumersi nessun rischio.
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Alla Biennale del 1972 Gino De Dominicis presentò nella sua stanza del Padiglione Centrale ai Giardini vari oggetti e in un angolo un signore seduto che li guardava. Il signore era affetto da sindrome di Down. La cosa fece ovviamente grande scandalo, tanto che la sala fu chiusa. Si può essere d'accordo o meno sull'operazione di De Dominicis, ma sicuramente toccava dei nervi vivi mettendo a nudo paure e tabù.
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L'artista voleva sicuramente scandalizzare, ma anche provare a dirci qualcosa che magari nessuno capiva o a cui nessuno pensava. Ossia che gli stati mentali e le emozioni sono infinite come infinite sono le nostre identità e personalità. Venne accusato di abusare di una persona che aveva dei problemi facendolo diventare fenomeno da circo.
Oggi pare che le cose si siano ribaltate. Il Moma, pur di fare notizia, abbandona l'arte per trasformare il proprio spazio in quello di un circo. Prende per sprovveduti quelli che, disposti a pagare un salatissimo prezzo d'entrata per visitare una delle cattedrali dell'arte, prenderanno per oro colato, un po' intimiditi, tutto ciò che i curatori del museo gli metteranno davanti al naso. Diciamo che il Moma si comporta un po' come per alcuni si comportò De Dominicis con la sua opera. Abusa della semplicità delle persone. La differenza è che un artista gioca con la sua pelle. Un museo invece gioca con quella dei visitatori. Non si fa.