Stefania Maurizi per "L'Espresso"
«Questa notte, quando farò l'amore con mia moglie, penserò a te». «Bastardo!». «Vuoi fumare?». «Voglio far uscire fuori qualcos'altro da te». Questo scambio di frasi bollenti non è una scena di un film hard. Ma è uno stralcio di una trattativa diplomatica tra un leader croato e Barbara Contini, professionista italiana nota per la sua esperienza in aree di crisi: dai Balcani all'Iraq.
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Cinquantadue anni, sei master e sei lingue, Contini è stata eletta senatrice nelle liste del Pdl nel 2008. Oggi, però, si è ricollocata e nelle ultime elezioni era candidata alle regionali in Lombardia per il 'Centro Democratico' di Bruno Tabacci, che correva con il centro sinistra, ma non è stata eletta.
Tutti la ricordano per il suo incarico in Iraq, nel 2003, subito dopo la guerra di Bush, quando fu nominata responsabile della ricostruzione a Bassora e poi amministratrice della provincia di Dhi Qar, che includeva la città di Nassiriya, dove erano stanziate le truppe italiane.
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Prima, però, Contini era stata in Bosnia per l'Osce, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Ed è lì che avrebbe condotto quella bizzarra negoziazione con un ras locale tra fiumi di whiskey e dialoghi hot. A rivelarlo a "l'Espresso" è Victoria Fontan, diplomatico che oggi insegna alla 'University for Peace' delle Nazioni Unite in Costa Rica, ma che all'epoca dei fatti era un funzionario Osce alla sua prima missione sul campo e, come ha raccontato nel suo libro fresco di pubblicazione ('Decolonising Peace', Dignity Press), assistette con sconcerto a quella trattativa, che non ha più dimenticato.
Diplomazia Hot. E' il settembre del 2001, sono passati 6 anni dagli accordi di pace di Dayton, che hanno posto fine alla guerra in Bosnia. Ma a Drvar, cittadina nel nord ovest della Bosnia, gli effetti della pulizia etnica sono ancora drammatici: costretti ad abbandonare le loro case occupate dai croati, i serbi sono ridotti a vivere in rifugi di fortuna, senza accesso a servizi, scuole, ospedali e in un clima di intimidazione che rischia di trasformare ogni giorno la cittadina in una polveriera. Né l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa sa come riportarli nelle loro case e tornare alla normalità.
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A guidare il centro regionale dell'Osce di Mostar è Barbara Contini, che di fronte alla determinazione di alcuni suoi funzionari determinati a uscire dall'impasse, decide di voler incontrare il leader croato che di fatto controlla la città di Drvar, Drago Tokmadjia, nel tentativo di mediare. Ad assistere Contini nella trattativa, racconta Victoria Fontan a l'Espresso, è lei e un altro funzionario Osce, che oggi occupa una posizione di rilievo nell'Unione Europea, ma che all'epoca era come lei alle prime armi.
L'incontro non si svolge nelle stanze ovattate della diplomazia, quanto piuttosto in un locale molto in vista: il Rimini, una sorta di pubblica piazza della cittadina. «Credo che fosse voluto», spiega Fontan a l'Espresso, «fissare l'incontro in quel posto per lei era un modo di far sapere a tutti che avevamo il consenso del politico locale più estremo e che quindi a quel punto potevamo fare il nostro lavoro».
Ma «appena Tokmadjia e Contini si incontrarono, il meeting scivolò rapidamente su un piano sessuale», continua, «era chiarissimo che stava cercando di negoziare in un modo che lei pensava fosse attraente per lui». Poi il whiskey prese a scorrere e «alla fine, uno ha cominciato a rivolgersi all'altro in modo sessualmente esplicito».
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Ma com'è possibile che un incontro ufficiale possa finire subito su un piano di massima confidenza? Si conoscevano già?, chiediamo. «A quanto pare no», replica Victoria Fontan, che ricorda come lei e il collega stilarono un rapporto su quella strana negoziazione. Lo scambio di battute riportate nel documento - e che nell'intervista con l'Espresso Fontan conferma- è esplicito:
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«Questa notte, quando farò l'amore con mia moglie, penserò a te», dice Tokmadjia. «Bastardo», replica Contini gettando sul tavolo un pacchetto di sigarette. E lui: «vuoi fumare?». «Voglio far uscire fuori qualcos'altro da te», ( "I want to smoke something else out of you" ) dice, passando a parlare del caso Monica Lewinski «e ridendo in modo volgare e allusivo».
Fontan ricorda anche che Contini disse: «voglio farti un p...», una frase che, a differenza del collega, lei riportò nel suo report. E, a distanza di undici anni, non dimentica lo sbigottimento di allora: «Non avevamo idea di quello che stava accadendo. Lei [Contini] continuava a dirci: 'vi sto preparando un grande terreno su cui potete lavorare'. E così noi pensavamo che avesse una strategia. Era il nostro primo lavoro, una parte di me era veramente innocente e pensavo: forse sta facendo la cosa giusta, ma più avanti ci siamo resi conto che le cose non andavano bene e che quello che stava accadendo era assolutamente inaccettabile».
Il trofeo. I due giovani funzionari Osce non rimasero fino alla fine della trattativa: dovettero assentarsi per accompagnare un collega in ospedale. Al ritorno, però, vennero a sapere che nel corso dell'incontro, Barbara Contini era finita sulle ginocchia del leader croato, Tokmadjia, a cui imboccava delle fette di salame piccante, successivamente l'incontro si era spostato al Bastasi hotel.
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«Si trattava di un albergo in un villaggio vicino, l'unico della zona e rimasero soli per un po'», racconta Fontan, aggiungendo che «il giorno dopo Tokmadjia andava in giro per la città vantandosi di un souvenir: i suoi indumenti intimi». Lei pensò che si trattasse di un pettegolezzo, «quando il giorno dopo andammo in ufficio, il nostro staff ci disse quello di cui parlava l'intera città, ovvero che Tokmadjia aveva un trofeo e che di fatto da quel momento in poi la nostra posizione era completamente compromessa e che noi ci eravamo schierati con una delle due parti in conflitto».
Victoria Fontan era giovane e idealista: pensava che, denunciando l'accaduto, l'organizzazione avrebbe fatto chiarezza. E invece i due rapporti scritti da lei e dal collega furono probabilmente insabbiati: «ci fu detto che era un caso estremamente delicato, da gestire nella massima confidenzialità. E noi ci credemmo», racconta, «perché non conoscevamo l'organizzazione, eravamo dei principianti».
Comunque l'Osce inviò un investigatore di nome Michael Ilaria, annunciato dalla Contini al suo collega come "un buon amico", secondo quanto scrisse allora nel report la Fontan, che oggi spiega: «volevano sapere se [Contini] era andata o meno a letto con Tokmadjia, non erano interessati ad altro, per via del possibile scandalo». Ricorda anche di essersi sentita intimidita quando Ilaria le disse: «tutti sappiamo com'è Barbara» e quando ribadì gli stretti rapporti della Contini con il governo Berlusconi.
Ma se l'Osce secondo Fontan insabbiò, la forza multinazionale della Nato dispiegata in Bosnia si mosse, perché preoccupata che l'episodio potesse riaccendere le violente tensioni etniche che scuotevano Drvar. «Il capo della Nato a Sarajevo protestò ufficialmente con il capo dell'Osce», ricorda, «a quel punto doveva succedere per forza qualcosa», e Contini «fu messa in condizione di dare le dimissioni: era dicembre 2001 o gennaio 2002». L'anno dopo, Barbara Contini era di nuovo in pista: nell'inferno dell'Iraq.
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Raggiunta al telefono da l'Espresso, Contini nega di conoscere e di ricordare Victoria Fontan: «Mi viene da preoccuparmi di qualcuno che immagina queste cose. Non so cosa potrebbe esserci dietro», dichiara: «E' sicura che sono io?», chiede, argomentando che l'episodio del salame piccante è «probabilmente un'invenzione totale», perché in quell'area geografica non si mangia affatto. Nel ribadire la sua totale estraneità ai fatti, parla di un attacco nei suoi confronti e ricorda «le difficili condizioni in cui mi sono trovata ad operare».
Si dice soddisfatta di ciò che ha fatto per le genti della Bosnia, «cui sono grata per la loro semplice riconoscenza». E a dimostrazione del buon lavoro svolto ci invia la lettera di elogio che ricevette dal suo capo del personale Osce al termine del mandato. Messa di fronte a queste dichiarazioni della Contini, Victoria Fontan ha ribadito a l'Espresso la sua versione dei fatti, già denunciata nel rapporto dell'epoca.
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