Guido Santevecchi per il "Corriere della Sera"
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«Sotto la guida del compagno segretario generale Xi Jinping, uniamoci e lavoriamo duro per finire di costruire una società moderatamente prospera e ottenere il grande ringiovanimento della nazione cinese». Pronunciato questo slogan, il primo ministro uscente Wen Jiabao si è inchinato tre volte ai 2.987 deputati del Congresso nazionale del Popolo e ha passato le consegne alla «quinta generazione» di leader della Repubblica popolare cinese, che governeranno per i prossimi dieci anni.
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Xi Jinping non parlerà dalla tribuna in questa sessione dell'assemblea legislativa che ne ratificherà l'ultimo stadio dell'ascesa al vertice: la nomina a capo dello Stato. Il rituale non lo prevede. Ma il nuovo timoniere ha già fatto conoscere le sue prime disposizioni: ritorno alla frugalità, basta con la stravagante esibizione della ricchezza, crescita economica meno tumultuosa per ridurre il divario nella distribuzione del reddito «perché per moltissimi cinesi la vita è ancora troppo dura».
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Così, quest'anno, i delegati del Congresso che salgono la scalinata del Grande Palazzo del Popolo sulla Tienanmen non possono più sfoggiare orologi di marca e vestiti griffati; banditi anche i lunghissimi pranzi ufficiali con aragoste, pinna di pescecane e liquore che allietavano le loro giornate pechinesi: ci si nutre in sobri buffet. Si dice che per far passare la sua campagna moralizzatrice Xi si stia appoggiando all'esercito: per questo, mentre l'obiettivo di crescita del Pil per il 2013 è stato fissato al 7,5% (il più «basso» dal 1990), il bilancio delle forze armate crescerà ancora del 10,7%.
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Ma forse il segretario Xi più che da generali e colonnelli (ce ne sono 268 nell'assemblea legislativa) e dalla sterminata burocrazia del partito, deve guardarsi da una pattuglia di 90 uomini che non hanno bisogno di indossare orologi d'oro sulla Tienanmen per far sapere di contare.
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Questi 90 sono i deputati del popolo che figurano nella lista dei mille cinesi più ricchi. E il loro numero nel Congresso è in costante crescita: erano 75 l'anno scorso. Il più povero di questi politici del socialismo di mercato ha un patrimonio di 225 milioni di euro, la media è 846 milioni, ma ci sono molti multimiliardari: secondo l'agenzia Bloomberg, che ha elaborato i dati, sono questi capital-comunisti l'ostacolo più insidioso alle riforme del nuovo leader Xi.
A questo fronte dei ricchi la ricetta moralizzatrice non piace, l'idea di tagliare il divario dei redditi fa venire i brividi. Sommando il contenuto dei portafogli dei 90 industriali-deputati si raggiungono i 637 miliardi di yuan, pari a 80 miliardi di euro. E non cercano il profilo politico basso. Per esempio c'è tra di loro Zong Qinghou, 67 anni, presidente dell'Hangzhou Wahaha Group che produce bevande e vestiario per bambini (Wa ha ha vuol dire bambino che ride). Zong secondo Bloomberg ha un patrimonio di 13 miliardi di euro, è l'uomo più ricco della Cina.
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E in una bella intervista sulla scalinata del Grande Palazzo del Popolo, l'altro giorno il compagno Zong si è detto fermamente contrario all'imposizione di patrimoniali o tasse sulle case. Quanto ai piani del Politburo per ridurre il gap nei redditi, ha assicurato: «L'economia cinese continuerà a svilupparsi così rapidamente che il numero dei ricchi aumenterà». Quindi, inutile rallentare la marcia per aspettare i più deboli.
Al compagno-deputato Liu Yonghao, magnate della distribuzione di polli, anatre e volatili vari è stato chiesto se con i suoi 3 miliardi non si trovi fuori posto nel tempio del comunismo (pur se di mercato). «No, è normale che tra i delegati ci siano businessmen come me, ci siamo fatti largo con i nostri sforzi». Pony Ma, fortuna da 7 miliardi, cofondatore del social network Tencent Holdings, ha replicato così alla domanda se non trovasse troppi 90 miliardari nell'assemblea comunista. Risposta: «Al contrario, siamo solo una minoranza». Una minoranza che potrebbe rappresentare una grande muraglia.
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