DAGOANALISI
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Toh!
Finalmente Bella Napoli si è ricordato che il Bel Paese non è un Länder tedesco del Sud Europa popolato da comici da strapazzo che s'arrangiano a volte (e con successo) con l'arte della politica. Era ora.
Dopo aver chinato la testa tra gli applausi convinti dei giornaloni quando i Capataz del'unione d'oltralpe, guidati da Frau Merkel, dettavano l'agenda governativa a Mario Monti, ora il capo dello Stato chiede rispetto dai partners del vecchio continente. Incassando il plauso convinto di Beppone Grillo.
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Ben fatto presidente! Ma nessun rimpianto (o risentimento) per gli "orrori" commessi nel passato nella parte del reggitore istituzionale della livrea, logora (d'idee e d'ideali), indossata dal furbastro Rigor Mortis?
Ps. Come è stato mai possibile che (quasi in solitudine) soltanto il grande giurista, Guido Rossi, e l'impertinente Dagospia, abbiamo alzato subito la voce contro l'ingerenza dell'Unione europea sull'Italietta del Professore bocconiano?
Bah!
Apprendiamo nel frattempo dalle colonne del "Corriere della Sera", a firma dell'immarcescibile Angeluccio Panebianco, che il bipolarismo della cosiddetta Seconda Repubblica è "andato distrutto" per effetto dell'ultimo terremoto elettorale.
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E chi glielo dice adesso al suo storico protettore-mecenate di via Solferino, Paolino Mieli, che il "loro" (falso) bipolarismo è morto e la seconda Repubblica è soltanto "cosiddetta" da quando i grilli hanno preso a cantare nel Paese?
Dov'è vissuto il politologo à la carte in quest'ultimi vent'anni? Forse ha studiato nelle stesse università americane frequentate (si far per dire) da Oscar Giannino?
Già. Dopo averci annunciato "la Rivoluzione italiana" per effetto di Tangentopoli e predicato negli anni a venire un "bipolarismo-porcata" (a causa della legge elettorale tenuta in vita da Monti nonostante gli appelli del Quirinale), l'Angeluccio Panebianco è sceso nuovamente dalle nuvole per annunciarci che siamo giunti al tripolarismo. Come a dire? Dalla "terza via" siamo passati al "tripolarismo".
Il contatore del "Corriere" si ferma sempre sulle lancette "terzismo" (voltaggio Mieli).
Oddio!
Annuncia il titolo dell'editoriale domenicale del sommo Eugenio Scalfari alla vigilia dell'ultimo tornado elettorale: "Tramonta un sistema di patacche e bugie".
Per-dinci-bacco, si sono chiesti smarriti i lettori de "la Repubblica" di Eziuccio Mauro, non è che il Fondatore ce l'ha su con quella banderuola spennacchiata e impazzita di Mario Monti?
Macché.
A "sgovernare" il Paese, rilevava Eugenio, è stato Silvio Berlusconi e il "grillismo lo governerebbe" pure se avesse il potere.
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E Rigor Mortis? come se l'è cavata nell'annetto trascorso a palazzo Chigi in cui l'Italia ha sfondato il tetto del debito pubblico? Ah, saperlo.
Eugenio non si sbilancia sul Professore: potrebbe essere una valida ruota di scorta (purtroppo uscita bucata dal voto), per un governo di centro sinistra (da venire). Altro non gli resta (sulla penna) che non onorare la "lucidità e l'imparzialità" di Bella Napoli.
Oibò!
Scusate il ritardo, ma una volta sconfitta, anzi abbattuta per via giudiziaria la vecchia partitocrazia e senza nuove regole istituzionali, i ParaGuru di carta a libro paga dei Poteri marci (Mieli, Mauro, Della Loggia, Panebianco, Anselmi, Montanelli, Bocca, Pansa, Spinelli, Pigi Battista, Giangy Stella etc) non ci avevano detto (e scritto) che finalmente, grazie all'arrivo del bipolarismo, saremmo diventati un "Paese normale"?
Ricordate il "caso italiano" che tanto appassionava i politologi à ala carte tra anni Settanta-Novanta?
E adesso?
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Ahimè!
Dopo vent'anni chi risarcisce i lettori (e i cittadini) se la "rivoluzione italiana" ha prodotto il Porcellum e non debellato la corruzione in nome della quale era stata combattuta (e vinta) la battaglia giustizialista? Per non dire della governabilità che il nuovo sistema avrebbe dovuto assicurare agli inquilini di palazzo Chigi.
Urge forse un primo bilancio della politica dell'antipolitica?
Per dieci anni Berlusconi e Bossi hanno fatto strame dei valori istituzionali (e morali) tra pretese scissionistiche, conflitti d'interesse e leggi ad personam. All'asse tra il Cavaliere e il Senatur si sono alternati i governicchi di centro-sinistra (Prodi-Bertinotti-Mastella) e di sinistra-centro (D'Alema-Cossiga) che non hanno mitigato le divisioni interne ne hanno messo un freno al trasformismo (parlamentare).
Benvenuti, allora, i Grillini a ricordarci che la "normalità", parola del saggista Hans Magnus Enzensberg è soltanto "un budino terminologico, una pappetta che si rapprende sotto la mano, ma torna tremolante e si disgrega non appena la si avvicini con uno strumento rigido".
Una ministra sciapita di cui hanno fatto indigestione i nostri media.
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Boh!
Valli a capire i giornaloni dei Poteri marci in crisi d'identità (e di copie vendute).
Anche nell'ultima tornata elettorale che rappresenterà la loro Caporetto, eccoli ostentare paginate e paginate di articoli, analisi, numeri, tabelle, grafici nel tentativo di analizzare il voto (storto) di lunedì.
Alla fine della lunga traversata il povero lettore non sapeva più orientarsi in quel pantano d'inchiostro. Eppure stavolta c'era una bussola sicura a indicare l'esito delle urne: l'avanzata del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e il flop del premier uscente Mario Monti. E il pareggio tra Bersani e Berlusconi. Un vincitore e un vinto, insomma c'erano come nelle migliori competizioni.
All'Istituto Cattaneo, invece, sono bastate due paginette via web per esaminare l'andamento reale del voto:
- i due principali partiti (aggregati) Pd e Pdl hanno perso rispettivamente, il primo il 30% e il secondo circa la metà dell'elettorato che li aveva scelti nel 2008;
- il Pd di Bersani ha perso 3 milioni e mezzo di consensi (meno 28,4%); il Pdl di Berlusconi oltre 6 milioni di voti (meno 46%); la Lega Nord di Maroni ha perso 1.631.982 voti (meno 54%).
- La coalizione di Centro guidata da Mario Monti su quasi 2 milioni di voti raccolti quasi la metà (812.136) sono concentrati nel Nord Ovest;
- il Movimento 5 Stelle ha ottenuto 8.869.168 voti ma ben distribuiti sul tutto il territorio nazionale. "Questo - osserva il Cattaneo - è un dato di grande importanza".
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E ci voleva tanto spreco di carta per mettere insieme un'analisi così esauriente e in poche (chiare) righe?
Daje!
Il Mona(co) della castità (altrui), Giangy Stella, non si arrende nemmeno di fronte alla disfatta elettorale del Corrierone di Flebuccio de Bortoli che, peggio della "Pravda" dell'era Breznev, ha sostenuto senza tentennamenti l'esecutivo di Rigor Mortis. Mentre per la Regione Lombardia si è speso per il suo ex consigliere di amministrazione, il civico (e perdente), Umberto Ambrosoli.
A che serve ricordare ai ragazzi ultrasessantenni di via Solferino che sotto il Duomo la lista civica Monti-Fai (da te) non ha ottenuto nemmeno i consensi indispensabili a far eleggere un suo uomo al Pirellone?
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Aridaje!
Che fa, invece, sempre sul Corriere l'impenitente Mona(co) Stella della casti(tà) altrui? Torna sul tema a lui caro dei "voltagabbana" in Parlamento. Gli onorevoli che cambiano casacca a Montecitorio e a Palazzo Madama. Un tic fastidioso che lo tormenta da alcuni decenni.
Ma se il nostro Gabibbo alle vongole leggesse la sacra Costituzione italiana (e i regolamenti parlamentari) scoprirebbe che si tratta di un problema etico più politico-istituzionale. L'art.67 della nostra Carta recita infatti: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato".
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Dunque dov'è lo scandalo?
Certo, quando c'era la vecchia (e odiata) partitocrazia chi alle Camere si faceva banderuola veniva "punito" con l'espulsione dal gruppo e la non rielezione. Oggi, ci spiega scandalizzato Stella - anche lui invocava il "Paese normale" immaginato dai Poteri marci -, il parlamentare eletto può andare dall'avvocato per le pratiche di trasformismo.
Buono a sapersi anche per i giornalisti che vogliono riciclarsi in Rai o nei giornaloni.
Minchia!
Chi, come noi, non frequenta la scuola giustizialista e sul voto di scambio non tira ogni volta in ballo camorra&mafia, può serenamente far osservare ai suoi maestri (e cultori del ramo a mezzo stampa) che in Sicilia, ad Alcamo in provincia di Trapani, il movimento di Beppe Grillo ha ottenuto il miglior risultato in assoluto: 45,23%.
In pratica, un abitante su due della vecchia Aicammu, ex roccaforte Dc, ha scelto il candidato Cinque Stelle. Alle precedenti elezioni (2008) il bottino se l'era spartito il Pd di Veltroni (30,7%) e il Pdl di Berlusconi (40,5%).
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Cosa suggerisce questo ennesimo "ribaltone" nelle urne di una cittadina, Alcamo, dove per anni si sono combattuti sanguinosamente il clan mafioso dei Greco e i corleonesi di Vincenzo Milazzo?
Che quando la spunta il "nuovo" ha vinto la "società civile", ma quando gli stessi cittadini di Alcamo (42 mila abitanti) scelgono nell'urna Dell'Utri o Cuffaro ha prevalso la mafia e il voto di scambio?
Uffa!
Come dar torto a Barbara Palombelli che su "il Foglio" scrive l'epitaffio dei cronisti politici. "Non servono più, non incidono, non prevedono niente...", affonda l'artiglio l'ex inviata di "Corriere" e "Repubblica". Nostalgie per il passato? Macchè!
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Magari c'è da rimpiangere perfino l'affabile Giampaolo Pansa, sempre a corto di notizie fresche. Tant'è che ai congressi si dava beatamente "al colore", spesso rubacchiando ai colleghi le notizie di giornata e alcune felici definizioni: Dc-Balena bianca; Forlani-Coniglio Mannaro.
A Montecitorio, poi, ora va di gran moda l'intervista-cabaret. Ai taccuini aperti il politico può raccontare qualunque fesseria purché si adatti bene alla sceneggiatura stesa prima dal giornalista-autore.
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Scoob!
Nei giornali, oltre al "notista" politico, non tramonta neppure la figura dello "scenarista", che dovrebbe spiegare ai lettori, quanto avviene fuori dall'ufficialità (ormai inesistente). Tanto da spingersi, solo per imprudenza o ignoranza, a suggerire improbabili paragoni storici. E dal cappello dell'artista dalla virgola capziosa (stavolta del Corriere), viene fuori che Bersani teme una nuova "trappola" come quella che nel '92 Bossi tese ad Andreotti, promettendogli i voti per l'elezione al Quirinale per spezzare l'alleanza del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani).
Se non ricordiamo male la vicenda, furono i "franchi tiratori" nella Dc (andreottiani), nel Psi e nel Pli a costringere al ritiro il candidato Forlani, bloccato sulla via del Quirinale per appena 39 preferenze (469 sui 508 richiesti dalla maggioranza assoluta dell'Assemblea).
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La lega Nord non abbandonò mai il suo candidato, Gianfranco Miglio, che raccolse i suoi voti (75) anche al momento della nomina di Oscar Luigi Scalfaro dopo la strage mafiosa di Capaci.