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DOPO LE CIANCE DI CIANCIMINO, LA \"BRUSCHETTA\" DI BRUSCA? - IL MAFIOSO DETTO \"’U VERRU\" (IL PORCO) CHE SCIOLSE UN BAMBINO NELL’ACIDO VA IN TRIBUNALE E LANCIA ACCUSE (SENZA PROVE) - \"A BERLUSCONI, CHE NON C’ENTRA CON LE STRAGI, DISSI: INTESA O BOMBE\" - \"INSIEME A BAGARELLA ATTRAVERSO MANGANO CONTATTAMMO DELL’UTRI PER ARRIVARE AL CAVALIERE\" - ACCUSE ANCHE A MANCINO - IL PREMIER: SONO ACCUSE FOLLI - VELTRONI: IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SPIEGHI IN PARLAMENTO...

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Nino Amadore per "Il Sole 24 Ore"

Giovanni Brusca

Le trattative tra lo Stato e la mafia per evitare le stragi e i rapporti tra Cosa nostra e la politica. Ruota attorno a queste due direttrici il racconto del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, detto 'u verru (il porco). Ieri Brusca, chiamato a deporre di fronte alla Corte d'Assise di Firenze nell'ambito del processo per la strage dei Georgofili in cui è imputato Francesco Tagliavia, è tornato sulla trattativa e sui referenti politici: «Nel 1992 - ha raccontato - Cosa nostra aveva rapporti con la sinistra, con politici locali, con la Dc attraverso Salvo Lima e a livello nazionale con Andreotti. Dopo l'uccisione di Lima e la stagione stragista, bisognava cercare nuovi referenti politici: in cambio davamo voti e stabilità».

giovanni brusca

Brusca indica Nicola Mancino, allora ministro dell'Interno, quale destinatario del cosiddetto papello (le richieste fatte da Totò 'u curtu per far cessare le stragi mafiose). Definisce il ruolo di uomini dei servizi segreti «Fantapolitica giudiziaria» e spiega: «Dopo l'uccisione di Giovanni Falcone e prima della strage di via D'Amelio, Riina mi disse: finalmente si sono fatti sotto, ho consegnato un papello con tutta una serie di richieste. Non l'ho visto ma sapevo quali erano le richieste: la revisione del maxiprocesso, l'applicazione della legge Gozzini, la legge sulla confisca. Il tramite non me lo disse, mi disse solo il committente finale e mi fece il nome dell'onorevole Mancino».

Bagarella

E a proposito della trattativa Brusca aggiunge: «Dopo la strage Borsellino si è tagliato ogni contatto. Il primo a dirlo fu Riina, che mi diceva: non c'è più nessuno». Mentre sulle stragi del 1993 spiega: servivano «a far tornare lo Stato o chi per esso a trattare». Sempre Riina avrebbe ancora raccontato che Marcello Dell'Utri e Don Vito Ciancimino volevano portare la Lega a Totò Riina. Ma questo sembra un fatto addirittura secondario rispetto alla sostanza del racconto di Brusca anche in riferimento al ruolo dell'allora imprenditore Silvio Berlusconi pronto a scendere in campo con Forza Italia: «Berlusconi e Dell'Utri come mandanti esterni, l'ho sempre detto, non c'entravano nulla. Non c'entrano perché la situazione è ancorata al passato».

Ma Berlusconi era stato individuato come futuro referente politico: «A ottobre del 1993 con Bagarella ebbi un contatto con Dell'Utri, senza mai incontrarlo, attraverso Mangano, per avere modo di arrivare a Silvio Berlusconi. Fallita la trattativa con Mancino lessi su L'Espresso del 26 settembre 1993 un articolo su Vittorio Mangano in cui si diceva che era stato fattore di Berlusconi. Allora io e Bagarella abbiamo convocato Mangano e lo abbiamo mandato a Milano con l'incarico di contattare dell'Utri per dirgli che le bombe le avevamo messe noi e avremmo continuato a metterle se non cambiava qualcosa. Per esempio, poteva restare il 41 bis ma doveva essere svuotato dei contenuti. So che Mangano si è incontrato con Dell'Utri e lui disse che si sarebbe messo a disposizione. Poi però Mangano venne arrestato».

berlusconi dellutri

Dettagliato il racconto sugli attentati a Falcone la cui eliminazione, ha spiegato Brusca, «non è stata tentata solo nel 1992. L'attentato era previsto dopo la morte di Chinnici ma venne rinviato più volte. Si conosce quello mancato dell'Addaura ma ce ne fu uno prima quando Falcone frequentava una piscina. Un'altra volta poi trovarono il bazooka a San Giuseppe Jato». A proposito del fallito attentato a una camionetta dei carabinieri davanti allo Stadio Olimpico di Roma il pentito dice: «La strage doveva essere diretta ai carabinieri che ci avevano traditi. Il generale Mori non era stato ai patti: venne deciso di chiudere il conto con il vecchio, doveva essere una vendetta che mostrava ai nuovi che si faceva sul serio».

NICOLA MANCINO

Le reazioni dei soggetti chiamati in causa non si sono fatte attendere. Mancino, per esempio, dice: «Se Riina ha fatto il mio nome è perché da ministro dell'Interno ho sempre sollecitato il suo arresto, e l'ho ottenuto. È una vendetta contro chi ha combattuto la mafia con leggi che hanno consentito di concludere il maxiprocesso e di perfezionare e rendere più severa la legislazione di contrasto alla criminalità organizzata. Durante il mio incarico al Viminale lo Stato ha combattuto con decisione la mafia ottenendo notevoli risultati. Altro che trattative o ricevere papelli».

Vito Ciancimino

Mentre Berlusconi respinge le dichiarazioni dell'ex boss così: «Ci accreditano ruoli quando non eravamo ancora impegnati in politica. Sono accuse incredibili». Intanto Walter Veltroni chiede alla commissione parlamentare antimafia guidata da Beppe Pisanu che sta indagando sulle stragi mafiose del 92-93 di ascoltare il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

 


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