La beatitudine è arrivata a Trieste 24 ore prima che a piazza San Pietro.
Se ne sono accorti i passanti sabato mattina poco prima delle 9 quando hanno visto scendere sorridenti dallo yacht "Altair" di Dieguito Della Valle lo scarparo marchigiano insieme a Lorenzo Pelliccioli e Paoletto Scaroni. E sorridevano anche Perissinotto e Balbinot quando con passo da bersaglieri hanno raggiunto il palazzo dei Congressi alla Stazione Marittima, il complesso anni '30 dove si è tenuta l'Assemblea di Generali.
La beatitudine si era già affacciata la sera prima nella foresteria all'ultimo piano della sede storica del Leone dal quale si gode una vista meravigliosa sul mare e su piazza Unità d'Italia. Qui i 17 consiglieri della Compagnia hanno brindato al nuovo corso e hanno archiviato la "pratica" Geronzi senza indulgere in alcun modo alla caduta degli dei che in genere accompagna i traumi al vertice di un'azienda.
Ben altro clima si era vissuto il 24 aprile dell'anno scorso quando gli azionisti di Generali avevano licenziato il vecchio Antoine Bernheim, il presidente che per 40 anni aveva legato la sua vita a Trieste. In quell'occasione davanti ai soci di Generali, il francese aveva parlato per due ore a braccio con la voce rotta dalla commozione, e alternando l'italiano alla lingua d'Oltralpe si era dichiarato molto triste e ignaro di che cosa significasse la presidenza onoraria conferitagli.
Qualcuno non gli aveva ancora detto che a quel titolo simbolico si accompagnava un vitalizio di 1,6 milioni "reversibile", cioè una pensione di cui potrà godere anche la moglie particolarmente affezionata ai benefits e alla casa offerta da Generali sul Canal Grande.
Una volta uscito dalla sala dove era in corso l'Assemblea Bernheim si era sfogato e con tono irato aveva detto: "non mi vogliono più, me ne vado...cosa volete che ci faccia qui, che vada in spiaggia? Andate a intervistare le vedettes del nuovo consiglio. Non venite a intervistare i perdenti".
Dentro tanto malessere era rimasto comunque lo spazio per esprimere "grande gratitudine" a Vincent Bollorè, il finanziere franco-bretone che l'anziano francese ha sempre considerato come un figlio. A distanza di un anno il furbo Bollorè sembra disconoscere questa paternità e Bernheim non gli risparmia insulti feroci come quello lanciato la settimana scorsa sul settimanale "Le Point" dove l'ha definito un mascalzone.
Nel mondo spietato della finanza questo scambio di cortesie alla luce del sole è raro, ma non inconsueto, e comunque il Bollorè amico di Sarkozy durante il consiglio di amministrazione che si è tenuto venerdì pomeriggio prima della cena nella foresteria di Trieste, ha approvato il bilancio 2010 senza tornare su quei dubbi che avevano fatto scattare la congiura finale contro Cesarone Geronzi. Sono così cadute le ipotesi fantasiose del giornale francese "Les Echos" che non più tardi di giovedì scorso ipotizzava l'uscita violenta di biondo bretone dal salotto triestino.
Forte di questo consenso Giovanni Perissinotto, il 58enne manager che da dieci anni si trova al vertice della Compagnia assicurativa, ha affrontato l'Assemblea nel palazzo della Stazione Marittima sotto gli occhi languidi del neo-presidente Galateri di Genola, un uomo che potrebbe scrivere un trattato sulla fortuna.
Adesso il bastone del comando è saldamente nelle mani di Perissinotto e di Giovanni Balbinot, due uomini che da soli si portano a casa ogni anno poco meno di 7 milioni di euro. Ma non è questo il problema, anche se durante la conferenza stampa al termine dell'Assemblea alle loro orecchie sono suonati davvero fastidiosi l'attacco dei fondi stranieri sulle remunerazioni del management e l'astensione della Banca d'Italia (azionista di Generali con il 4,46%) sul tema degli incentivi.
Al ravennate Perissinotto sono parse comunque più importanti le domande insistenti sulle operazioni fatte con il cecoslovacco Kellner, le stesse che avevano creato perplessità nella Consob e in Bollorè.
A questo proposito l'amministratore delegato del Leone ha cercato di dare ampie assicurazioni ai soliti piccoli azionisti rompicoglioni che guardano al 2014, quando la Compagnia dovrebbe cacciare circa 3 miliardi di euro nelle casse del furbo Kellner. Non ci sarà bisogno di alcun aumento di capitale - ha detto il manager - anche se per gli analisti sarà necessario cominciare a mettere da parte quei 3 miliardi mentre Mediobanca esplorerà in qualità di advisor tutte le alternative per rendere fruttuosa la joint-venture con la Ppf del cecoslovacco.
Di soldi ha dovuto parlare anche il sabaudo presidente Galateri di Genola quando altri professionisti d'Assemblea hanno sollevato il problema della favolosa liquidazione a Cesarone Geronzi. E qui la risposta della Compagnia è stata un piccolo capolavoro diplomatico perché sia Galateri che Perissinotto hanno sostenuto che se il consiglio avesse voluto comunque allontanare Geronzi, le Generali avrebbero dovuto pagare molto di più.
Francamente non si capisce il senso di questa affermazione; per qualcuno si lega agli eventuali danni che l'ex-banchiere di Marino, che un anno fa si dichiarò incompetente nelle assicurazioni, avrebbe potuto provocare restando per altri cinque anni al vertice del Leone; per altri, il ragionamento va attribuito a parametri ancora più onerosi nel caso di licenziamento con il vincolo del silenzio.
Resta il fatto che ieri sul "Corriere della Sera" il giornalista Massimo Mucchetti, dopo aver stigmatizzato il costo di Geronzi come un esempio dei compromessi della Casta finanziaria, si è chiesto perché un anno fa quelli che avevano osannato o subito la nomina di Cesarone abbiano firmato quei contratti con tanto di clausole e di benefits più che generosi. Ma queste sono appendici minori rispetto alla grande sfida che adesso aspetta il nuovo management di Trieste, e ha ragione Caltariccone quando dice che la Compagnia deve "industrialmente giocare d'attacco".
C'era anche lui durante la cena nella foresteria e nel palazzo d'architettura fascista dove si è svolta sabato la lunga Assemblea. Rispetto agli altri soci l'imprenditore romano è quello che più di tutti insiste e palpita affinché le Generali ritornino all'antico splendore. Nessuno l'ha visto, ma è probabile che in una tasca della giacca abbia un foglietto sul quale è disegnato il grafico che dimostra il declino del titolo in Borsa dal 2007 ad oggi.
Nel novembre di cinque anni fa Caltariccone è entrato come consigliere comprando le azioni a 34 euro e oggi se le ritrova a meno della metà; per cinque anni ha continuato a comprare pieno di fiducia sulle potenzialità del colosso che nel mondo occupa quasi 90mila dipendenti e ha un patrimonio di 400 miliardi.
Per un uomo come lui abituato a fare di conto e a non chiacchierare al vento come lo scarparo marchigiano (al quale ieri il "Messaggero" su cinque colonne ha ricordato che "Generali non esce da Rcs"), è arrivato il momento di mettere a frutto i quasi 100 milioni investiti dal 2007 ad oggi. Più volte ha inviato questo messaggio a Perissinotto e a quell'anima candida di Balbinot che vola in Cina e in Vietnam per aprire nuovi mercati. Questi due manager sono attesi alla prova dei fatti e curiosamente li aspetta anche la Mediobanca del pallido Alberto Nagel che ha avuto un ruolo determinante nella cacciata di Geronzi.
Guarda caso sabato mattina molti dei partecipanti all'Assemblea leggevano avidamente la sintesi di un rapporto finora sconosciuto elaborato dagli analisti di Mediobanca che mette a confronto i risultati delle Generali con quelli del colosso tedesco Allianz. Dalla lettura di questo documento di 80 pagine che ha per titolo "I tedeschi dettano il ritmo" si capisce che il vero avversario di Perissinotto non è più l'ombra lunga di un Geronzi che medita vendette, ma un tedesco 57enne laureato in filosofia che si chiama Michael Diekmann e dall'aprile 2003 guida Allianz, la seconda compagnia assicurativa del mondo.
Bisogna leggerlo per intero questo rapporto di Mediobanca per capire - come ha fatto puntualmente il settimanale diretto da Paolo Panerai - la forbice che separa le Generali dal maggior competitor europeo guidato dall'austero Diekmann. Sono quattro le ragioni per cui il Leone di Trieste perde colpi rispetto al suo avversario; si va dall'eccessiva sovraesposizione di Trieste verso il mercato italiano (in particolare nel ramo danni auto) fino ai rendimenti modesti nel ramo danni, e al diverso tasso di indebitamento dei due Gruppi.
Ma il confronto "impietoso" con Allianz, che gestisce 1.499 miliardi di risparmi con un utile operativo di 2 miliardi, riguarda soprattutto il settore del risparmio gestito dove secondo gli analisti di Mediobanca Generali avrebbe assolutamente bisogno di fare un'operazione straordinaria comprando la società svizzera Julius Baer. L'operazione costerebbe qualcosa come 7/8 miliardi ma - concludono gli analisti di Piazzetta Cuccia - porterebbe benefici e sinergie grandiose alla società di Perissinotto.
A dire il vero quest'ultimo non ha escluso durante l'Assemblea che nei prossimi anni si possano fare operazioni di acquisizione, ma certamente non deve essergli piaciuta la puntualità con cui il giornale di Panerai ha tirato fuori il rapporto segreto di quella Mediobanca amica che mette il dito sulle debolezze del Leone.
Forse questo è soltanto il prologo di ciò che avverrà a settembre quando le scaramucce di Dieguito Della Valle e Lorenzo Pelliccioli (entrambi beneficiati da operazioni incrociate di De Agostini e Ntv con le Generali) dovranno misurarsi nella battaglia per il controllo della Compagnia e scansare la mole massiccia del camionista Pallenzona forte delle rinate velleità sistemiche di Unicredit.
Allora forse la beatitudine e la concordia della "provincia" triestina saranno spazzate via dalla bora che soffierà dalla "capitale" finanziaria milanese.