Quirino Conti per Dagospia
Tra le molte perplessità che rendono sempre più criptico e distante il lussuoso, selezionatissimo Gotha dell'arte contemporanea, forse la più rovente resta la scarsa predisposizione dell'attuale linguaggio artistico all'uso, e alla sua specifica collocazione. Persino a quella conservativa. E ineludibilmente, laddove venga portato a termine, pur tra mille dissidi, l'ennesimo "modernissimo" mausoleo per contenerla, subito, accapigliandosi, ci si accorge che non sono quei non-prodotti a essere scostanti e di fatto non musealizzabili (ma questa è, del resto, una vecchia storia), quanto piuttosto, chissà mai perché, che è l'osannata archistar ad aver prodotto spazi ogni volta inevitabilmente... "inadeguati!".
ORLANDO GENTILI QUIRINO CONTIMa, ci si chiede, inadeguati a cosa, a che? Forse a ciò che per sua stessa definizione sembra voler rifuggire il catalogo, la classificazione, persino la conservazione, la canonizzazione appunto, essendo per sua natura fuori da qualsiasi canone, passato, presente e futuro?
miuccia prada zerbino chi01E così si dibatte e ci si interroga su come far rendere (una montagna di denaro) il mercato di quegli artisti che non sfornano nulla di appendibile (da una qualsiasi parte) o di addomesticabile (in uno spazio che sia almeno affine a quelli che conosciamo). E dunque, che questo magnifico, irraggiungibile artista pronto a spalmare di miele gli aculei di un cactus, oltre alle sue sacrosante intenzionalità produca almeno qualche studio preparatorio da commercializzare finalmente, o uno straccio di disegno;
qualunque cosa insomma, purché ponderalmente - cioè materialmente - sottoponibile alle antiche, inesorabili, solide leggi del commercio dell'Arte. Qualunque cosa quindi, oltre le solite, straordinarie installazioni di cavalli appesi (evidentemente, di difficile e rara collocazione). Né, d'altronde, si può vivere in eterno di soli video o di sole foto...
prada resize xInsomma, un bel ginepraio: tra artisti, galleristi, critici e press addict; che si risolve in genere con valutazioni ipermilionarie, aste memorabili, collezionisti sempre più alteri e come sprofondati nel loro aristocratico distacco, prodotti (diciamo così) o "pezzi" (quando e se lo sono ancora) unici che, benché sofisticatamente pop, di popolare non hanno più ormai la benché minima traccia. Con, in compenso, molta, moltissima ironica supponenza.
McKim Adele Chatfield Taylor Miuccia PradaAltro è la Moda (almeno fino a ieri). Che, benché ormai del tutto avvezza a quei linguaggi artistici, all'arte tout court insomma, ci si ostina ancora a considerare come spiccia produttrice di formule estetiche a disposizione (per intenderci, quel che chiamavamo prêt-à-porter): utilizzabili indistintamente da chiunque. Prima magari in una ristretta élite, poi da molti, quindi da tutti. E a quel punto, con ottimi risultati economici.
Ora però - e proprio con le presentazioni in corso - anche qui il problema sembra ingarbugliarsi. E Milano, la produttiva e lucida capitale del business della Moda, ne rivela improvvisamente tutta la più complessa contraddittorietà.
Miuccia Prada prada48 moda delicataPertanto, mentre il mercato sembra, come si dice, "lanciare timidi segnali di ripresa", proprio quegli abiti che, si spera, dovrebbero rivestire questo nostro tempo e divenirne la forma riconoscibile, proprio questi, contro ogni aspettativa e con un colpo basso, all'improvviso, scrollandosi di dosso ogni prudenza e qualunque traccia di autocommiserazione, questi stessi abiti dunque, non sembrano irragionevolmente voler essere altro che ardite formule IRRIDENTI. Unicamente autoirridenti, dileggianti e canzonatorie, come un bel Man Ray. Quasi sovrastrutture destabilizzanti e liquide provocazioni denigratorie. Insomma, autentici nemici da mettersi addosso.
E non più solo da Prada - la grande eversiva dodecafonica, ineguagliabile nella perfetta confezione dei suoi rebus, che di tutto ciò, da sempre, ha fatto il carattere determinante del suo successo e la sua inconfondibile cifra stilistica -, ma, per riflusso, da tutti, davvero da tutti. Fino all'insospettabile produttore di provincia che un tempo, saggio, giudizioso e prudente, ingrassava il Nordest. Come per un contagio apparentemente inarrestabile.
Ora, che lo chic sia finito - come, un po' Cicero pro domo sua, affermava Gianni Versace al colmo del successo - è un dato persino comprensibile e condivisibile (anche se lo diventa un po' meno quando si è a Parigi e di fronte alle meravigliose invenzioni di Chanel). Altrettanto comprensibile è che a Milano, sull'onda di Prada, in molti si sia avvertita la necessità, in quattro e quattr'otto, di recuperare un ritardo di oltre cento anni.
prada66 moda estremapapa ratzinger scarpe prada dipiuInfatti, come si sa, i grandi innovatori avevano già completato il loro lavoro sul "disarmonico sgradevole" tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento; per ogni arte in genere e per qualsiasi scrittura stilistica. Meno comprensibile appare però come, da qui in avanti, mercati generalmente indifferenti a complesse questioni intellettuali possano reggere questa ondata di feroce e determinato post-dadaismo creativo.
In altre parole, viene da chiedersi: che fine faranno (se e una volta in vetrina, da Cuneo a Newport) tutti questi preziosissimi ossimori, queste determinate stonature, queste convinte discordanze vaganti, queste poeticissime incongruità in tessuto, pelliccia, plastica e pelle? A meno che, seguendo questo discorso, non si sappia che da qualche parte, magari in Cina o in qualche nuovissimo Eldorado, c'è già un consumatore maturo per simili abiti rivoltosi.
Un popolo, cioè, di evolutissime creature già pronte e in attesa di questo autodenigratorio, sedizioso e persecutorio abito-trappola. Ora che a Milano anche nelle collezioni più marginali e in quelle senza speranza non c'è praticamente più nulla che, come nell'arte concettuale appunto, possa essere ricondotto a qualcosa di facile e di immediato.
scarpe papa ratzinger prada miuccia prada zerbino chi03In definitiva, il problema non è tanto chi potrà indossarla, quella moda: che naturalmente, si sa, non è mai stato questo il problema dello Stile. Ma chi potrà se non altro goderne, persino solo intellettualmente. E quale società (forse questa Bisanzio diffusa, o proprio questo nostro sultanato prossimo alla dissoluzione?) potrà ricoprirsi, godendone, di tali ardimentose sciarade, di simili spietati calembour, di tanto efferati omicidi stilistici e di così perfide blasfemie cromatiche.
Perché è evidente che, se si è trovata una forma (e un contenuto), quanto prima bisognerà trovarle un supporto, un corpo; e una società capace di tanto. Forse che da Milano la Moda ne vede già all'orizzonte una qualche traccia?
Anche perché solo pochi giorni fa si gridava al miracolo per l'esordio, anche da noi, di una collezione finalmente democratica e low cost. Insomma, semplice e appetibile (basica e a poco prezzo). Mentre queste giornate milanesi sembrano essere unicamente alla caccia di menti eccelse da far godere con i loro labirintici ermetismi. Pertanto, altro che mercato in crisi. Piuttosto, cercasi genio da rivestire. Urgentemente.