1 - L'IMPRESENTABILE LASSINI È LA VERA STAR...
Alessandro Da Rold per "Il Riformista"
Polemiche a parte, tra gli esponenti del Pdl ci si interroga sull'effetto elettorale che potrebbe avere Roberto Lassini alle prossime comunali di Milano. Una domanda opportuna, soprattutto in vista del day after dello scrutinio elettorale. Certo è che finora è lui il protagonista di questa campagna elettorale.
Il candidato che non è candidato potrà essere votato. Lo stesso Nicola Piepoli, in una dichiarazione di due giorni fa al sito Affaritaliani, ha spiegato che Lassini «ha grandi probabilità di essere eletto».
MORATTIPer questo motivo, vale la pena ricordare quale fu il risultato che Lassini portò a casa nel 2006, quando si candidò a sindaco di Turbigo con l'Udc di Pieferdinando Casini. Allora, raccolse appena 579 voti, il 13,6 % dei consensi, che gli assicurarono almeno un posto in consiglio.
Le ultime dichiarazioni del coordinatore regionale Mario Mantovani, quindi, sul fatto che Lassini non farà parte del gruppo del Pdl se eletto, non cambiano la sostanza. Il discorso vale pure per il sindaco Letizia Moratti, che continua a insistere sul fatto che il caso sia ormai chiuso. E il ragionamento vale per gli esponenti del Pdl lombardo, da Maurizio Lupi a Luigi Casero, che hanno isolato le posizioni di Daniela Santanchè e Giorgio Straquadanio, mettendoli di fatto fuori dalla linea del partito.
Giorgio StracquadanioAllo stesso tempo, però, sta iniziando a serpeggiare una certa preoccupazione tra i pidiellini. Il timore è che Lassini potrebbe impugnare le sue preferenze nel caso la Moratti dovesse vincere sul filo di lana contro Giuliano Pisapia. E, per questo, far valere la sua tanto bistrattata campagna elettorale.
Gli ultimi sondaggi parlano chiaro. Quello di ieri di Swg dà il primo cittadino e l'avvocato penalista appaiati, in una forbice che varia tra il 42 e il 43 per cento. A quel punto, in caso di vittoria al secondo turno della Moratti, cosa farà il Pdl che in questi giorni ha continuato a sparare contro Lassini? Il presidente dell'associazione dalla parte della Democrazia si dimetterà o entrerà a palazzo Marino come indipendente? Tutte ipotesi che ronzano tra i salotti della politica lombarda. E pure nelle stanze di Arcore, a Villa San Martino, con un Silvio Berlusconi che ha già espresso la sua solidarietà all'attacchino all'inizio della settimana con una telefonata. In sostanza, l'apnea durerà fino al 16 maggio.
E con tutta probabilità anche dopo. Perché non è ormai più notizia che il centrodestra si stia preparando per il ballottaggio. Lo dimostrano le indiscrezioni sulla campagna elettorale che dalla prossima settimana imposterà il Cavaliere, con una copertura massiccia di manifesti per le strade. Lo testimonia la scelta del leader della Lega Nord Umberto Bossi, che arriverà nel capoluogo lombardo il prossimo 13 maggio, per dare la volata all'ex presidente della Rai.
È probabile che di Lassini si parlerà anche allora. Il candidato che non è candidato, ma non può essere votato, infatti, non perde occasione per intervenire a trasmissioni di tv locali. Ha già avuto la sua scena a Porta a Porta. Ha occupato i quotidiani per tutta la settimana, con interviste, telecamere puntate e una costante capacità di replicare alle dichiarazioni dei suoi colleghi/avversari.
VIA LE BR DALLE PROCUREPersino, ieri, dopo l'ennesima presa di posizione di Mantovani (si conoscono da più di vent'anni), Lassini è stato contattato dall'Ansa, ma non ha voluto fare commenti. Insomma, l'esposizione mediatica dell'ex sindaco di Turbigo è totale. E non è detto che il 7 maggio, giornata clou della campagna elettorale, quando Berlusconi arriverà al Palasharp, l'attacchino non compaia sul palco, magari per un gesto chiarificatore con la Moratti.
Secondo gli addetti ai lavori, il Cavaliere ci starebbe pensando, fermo nel sostenere che per vincere al primo turno ci vuole sia la moderazione che va cercando il primo cittadino, sia l'opposizione alle procure che fa capo ai falchi del Pdl. E mentre Pisapia insiste sul «fallimento su tutti i fronti della Moratti», il candidato del Terzo Polo Manfredi Palmeri ammette: «Le parole del Pdl sul caso Lassini non valgono nulla: Lassini, una volta eletto, se vorrà potrà rimanere Consigliere comunale, e nessuno potrà impedirglielo».
2 - TUTTE LE CONFESSIONI DI ROBERTO LASSINI: "PIANGEVO, SILVIO HA DETTO SONO CON TE...
Barbara Romano per "Libero"
«Fosse stato per me, non mi sarei dimesso da niente. Questa è tutta una pagliacciata. Il Parlamento è pieno di ladri, che cazzo vogliono da me?». Nero, è nero Roberto Lassini, come una pantera. Non si dà pace per essersi dovuto ritirare dalla corsa delle Comunali di Milano su diktat del sindaco Letizia Moratti, a causa dei manifesti anti-pm con cui ha tappezzato la città. Ma non sfugge il guizzo furbo dietro il suo sguardo torvo: la consapevolezza che la iattura potrebbe diventare una fucina di voti.
Tanto che ora nel PdL molti sono pronti a scommettere che il candidato consigliere dimissionario farà il botto alla Amministrative. Sbaglia quindi chi dà per spacciato l'ex sindaco Dc di Turbigo. Il quale avrà pure mandato al macero i suoi santini e chiuso il comitato elettorale, ma può contare su uno spin doctor che lo marca a uomo: Tiziana Maiolo. Dopo essere passata in Fli, l'ex radicale è tornata nell'alveo berlusconiano. Soprattutto, Lassini sa di avere uno sponsor, neanche troppo occulto, in Silvio Berlusconi.
Come diavolo le è venuta l'idea dei manifesti «via le Br dalle procure»?
«L'idea non è mia, ma della mia associazione».
Vuole far credere che i suoi prendono un'iniziativa così senza consultarla?
«Non avevo neanche visto il bozzetto».
Sincero: lei non condivide nel merito quello slogan?
«Ho chiesto scusa per quei manifesti perché sono indifendibili, ma ritengo che Berlusconi faccia bene ad alzare la voce contro certa magistratura».
Che idea della magistratura ha lei che fu imputato di tentata concussione dalla procura di Milano nel '93 e si fece 42 giorni a San Vittore?
«Da quell'accusa io fui assolto con formula piena cinque anni e mezzo dopo, quindi ho fiducia nella magistratura, anche in quella milanese. Certo, la rabbia è tanta e a volte faccio fatica a contenerla».
Lei pensa che certi pm siano come i brigatisti?
«No, ma il premier è sicuramente un perseguitato e c'è un disegno eversivo contro di lui che va anche oltre le procure. Si è gridato allo scandalo su quei manifesti, ma quando il professor Asor Rosa dice "commissariamo il Parlamento e mandiamo i carabinieri", cos'è quella, se non istigazione a delinquere?».
Questo ragionamento è suo o del Cav? È noto che vi siate sentiti al telefono...
«Lui mi ha telefonato per esprimermi la sua solidarietà. Io ero molto emozionano e commosso. Ho pianto come un vitello al telefono con il presidente e un po' me ne vergognavo».
Ma lui cosa le ha detto?
«Ha cercato di consolarmi assicurandomi che mi capiva sino in fondo e che mi era vicino. Non mi ha detto "Roberto hai sbagliato". Anzi, si è sfogato a sua volta dicendomi di ritenersi un perseguitato dalle toghe e mi ha convinto ancora di più della necessità di riformare la giustizia».
Lei inzialmente non voleva saperne di ritirarsi. È stato Berlusconi a convincerla?
«Mi ha detto che gli dispiaceva molto che io dovessi dimettermi e che se fosse stato per lui non mi avrebbe mai fatto ritirare. Ma il problema per il premier è molto più ampio».
Il «problema» si chiama per caso Letizia Moratti?
«Le basti sapere che la telefonata di Berlusconi è avvenuta il giorno in cui il sindaco di Milano ha posto il veto sulla mia candidatura in termini assolutamente irritrattabili. Era implicito che, seppure malvolentieri, Berlusconi mi dicesse: "Roberto, föra di ball"».
La legge prevede che lei possa ritirarsi dalle elezioni ma non cancellarsi dalla lista, quindi i milanesi possono votarla.
«Sì, ma le mie dimissioni sono state formalizzate, non faccio più campagna elettorale. Sono rimasti solo un po' di santini in questa stanzetta offertami in comodato d'uso da un collega, perché il mio studio legale è a Busto Arstizio».
Se sarà eletto cosa farà, rinuncerà all'incarico di consigliere comunale?
«Deciderò in base ai risultati».
Ma non può prescindere dal veto della Moratti.
«Non posso negare che mi sia dispiaciuta molto la sua reazione».
E che effetto le ha fatto il monito di Giorgio Napolitano che ha definito i manifesti «un'intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime del Br»?
«Tremendo. Mio padre di 81 anni piangeva. A casa mia è ancora vivo il ricordo di quando mi portarono a San Vittore. L'altro ieri mi ha scritto il parroco di Turbigo, che mi difese a messa all'indomani dell'arresto».
Cosa le è rimasto più impresso di quel giorno?
«Il momento in cui i carabinieri vennero a prendermi a casa all'alba con tre camionette, un'azione da Gestapo. Io li feci entrare, salutai mia moglie: "Ciao amore, ci rivediamo tra sei mesi". E a loro dissi: "Fate in fretta la perquisizione e non rompete i coglioni", perché avevo una bambina di tre mesi e un'altra di diciotto. "Se le svegliate", li avvertii, "non rispondo delle mie azioni". Mi fecero uscire nella piazza di Turbigo, salimmo in Comune e perquisirono anche lì».
La imbarazzò da sindaco farsi vedere in giro in manette?
«Ma no, è giusto così. Quando fai l'avvocato è bene che assaggi gli schiavettoni almeno una volta nella vita, così sai cosa provano i tuoi clienti. C'è stato un periodo, nel '94, in cui andavo in tribunale da avvocato e da imputato. Quando avevo udienza mi mettevo la toga e quando andavo al mio processo, me la toglievo. Ma i magistrati avevano capito chi ero. Tra questi c'era Romeo Simi De Burgis, che una volta bevve un caffè con me e mi disse: "Anch'io sono stato in galera, Lassini, e un po' di carcere, a dosi omeopatiche, farebbe bene anche ai miei colleghi per essere più attenti quando adottano provvedimenti restrittivi».
Cosa ricorda del soggiorno a San Vittore?
«Tenevo un diario dal carcere scrivendo tutti i giorni a mia moglie circa sei, sette fogli. Il momento più traumatico è l'arrivo in carcere, quando ti prendono le impronte e ti perquisiscono anche nell'intimità. Non solo in senso fisico, di quello puoi anche fottertene. Quella che ti fa più male è la perquisizione psicologica».
Il suo giorno peggiore da galeotto?
«Fu quando si suicidò Gabriele Cagliari, che era al quinto raggio, come me. In carcere scoppiò la rivolta: bruciavano i materassi, scuotevano le sbarre, buttavano le bombolette del gas che usavano per cucinare in cella, con l'obiettivo di far saltare in aria qualche testa di cazzo di maresciallo che li angustiava. Fummo lasciati soli dai secondini tutta la notte. Ma nei giorni successivi i controlli triplicarono e fummo trattati ancora peggio, soprattutto io».
Perché soprattutto lei?
«Perché noi tangentopolini eravamo considerati a rischio suicidio, quindi ci controllavano sempre e dappertutto. "Neanche dentro al cesso possiedo un mio momento", cantava Guccini. Eravamo obbligati a lasciare aperta pure la feritoia del bagno, quindi io ero odiatissimo dai miei compagni di cella. Perciò, come atto estremo di ribellione, la richiusi assieme a un tizio tostissimo di Limbiate che si fece otto anni per sei etti di eroina, povero Cristo, e poi divenne mio cliente quando uscii di galera».
E come fece a chiudere la feritoia?
«Con un pezzo di gommapiuma. Per depistare il secondino che iniziava a insospettirsi perché non uscivo più dal bagno, i miei compagni gli dissero "Agente, gli presti la mano al sindaco del quinto raggio": le lascio immaginare cosa succede nei bagni del carcere dove c'è una montagna così di riviste pornografiche».
Un modo come un altro per ammazzare il tempo. Lei cosa leggeva?
«Freud, Nietzsche e il codice di procedura penale. Anche perché a San Vittore non c'è neanche una biblioteca. Non parliamo poi delle disparità di trattamento. Non ho mai capito perché io e Cagliari eravamo chiusi al quinto braccio con i detenuti comuni, mentre Franco Nobili era al sesto, dove gli consentivano di stare con la porta aperta. Io uscivo all'aria solo tre quarti d'ora al mattino e al pomeriggio».
Cosa faceva in quei tre quarti d'ora?
«Correvo tutti i giorni, sono un ex maratoneta. Ma il cortile di San Vittore è un catino di cemento dove diventi pazzo. Un giro completo è di cento metri, io facevo cento giri per fare dieci chilometri e pompavo con le flessioni. Ero rasato come un naziskin».
Quando fu assolto in lei c'era più soddisfazione o rabbia?
«Entrambe. Devo molto al mio legale, Mauro Bonini, un collega bravissimo, che ha dato l'anima. Ma se fosse stata un po' più accorta, la procura avrebbe sgonfiato il mio caso in dieci giorni».
È per la sua vicenda giudiziaria che lei ce l'ha ancora tanto con i pm?
«Io non odio Bianca Margherita Taddei, pubblico ministero al mio processo e oggi giudice alla seconda sezione penale della Cassazione. Però si incaponì troppo. E mi spiacque molto che dopo quasi sei anni di processo, letto il dispositivo di assoluzione piena, lei si girò verso i miei avvocati e disse: "Siete stati convincenti". Lì capii qual è il limite di certi pm: la testardaggine».
Molti sono convinti che ci sia la regia di Berlusconi dietro quei manifesti.
«Non si pensa mai che i pazzi in giro ci sono davvero e che se si incazzano fanno le cose spontaneamente».
Sta dicendo che lei è pazzo?
«Sì, sono un pazzo incazzato».