1- QUELL'AMARO DESTINO DEL FIGLIO DEL PADRONE CHE NON AMAVA I RIFLETTORI
Aldo Cazzullo per il "Corriere della Sera"
«Da bambino mio padre mi portava in fabbrica e mi abbandonava. Spariva, senza dirmi niente; e io dovevo trovare da solo la strada per uscire» . La fabbrica era la prova iniziatica, la scuola di vita. «Una volta, ero molto piccolo, mi divertii a scartare le uova di Pasqua. Ero pur sempre il figlio del padrone, pensavo fosse tutto mio. Fui rimproverato con durezza» .
La fotografia del padre di Pietro Ferrero, Michele, era sull'ultimo numero di Forbes: l'uomo più ricco d'Italia. Eppure agli italiani il suo volto è quasi sconosciuto. Anche il primogenito, Pietro, era schivo sino alla riservatezza. Un'intervista però si riuscì a strappargliela.
Ovviamente nella fabbrica in riva al Tanaro, ad Alba, la piccola città dov'era tornato a vivere dopo un'infanzia passata all'estero, in particolare a Bruxelles. Pietro Ferrero era un bel ragazzo: alto, magro, i riccioli neri. Aveva preso casa nel centro storico, vicino a dov'era nato e cresciuto Beppe Fenoglio. Qui erano le radici della famiglia e dell'azienda: un laboratorio artigianale divenuta la seconda multinazionale dolciaria del mondo.
Pietro ne era divenuto l'amministratore delegato; ma il vero amministratore della Ferrero, amavano dire ridendo lui e suo padre, era la signora Mariuccia, simbolo del consumatore italiano. Era lei, prima delle alchimie di Borsa- dove i Ferrero non sono mai voluti entrare- e degli analisti finanziari, il punto di riferimento.
PIETRO FERREROEd erano gli operai-contadini della fabbrica di Alba: quelli accorsi spontaneamente con gli stivaloni e i badili a spalare il fango dopo l'alluvione del 1994, per non perdere la produzione di Natale, come Pietro raccontava con un'espressione di orgoglio. Una storia molto piemontese, di sobrietà e di serietà. A Michele Ferrero tocca ora la più dura delle prove, come già ad altri patriarchi piemontesi, Umberto Agnelli e Sergio Pininfarina: sopravvivere a un figlio.
2- L'EREDE DELLA DINASTIA DELLA NUTELLA DIVISO TRA L'ALTA FINANZA E LO SPORT
Sergio Bocconi per il "Corriere della Sera"
Il dramma sospende la vita di Alba e dell'azienda, una multinazionale rimasta familiare. Gli stabilimenti della multinazionale non si fermano. Ma la sua anima resta in silenzio. Attonita. Pochi minuti segnano l'impero. Terminata la riunione con il suo staff, Pietro Ferrero ieri ha fatto come sempre: è andato a «prendere una boccata d'aria» in sella alla sua Cervélo.
La bicicletta, la passione di sempre, che condivideva ad Alba con qualche amico (in realtà preferiva le uscite in «solitaria», accompagnato di frequente da una personale auto «ammiraglia» ) e lo univa ad altri giovani manager come Matteo Marzotto, Carlo Pesenti, Giovanni Gorno Tempini, Mario Greco, Vittorio Colao.
E ieri in più le sottili ruote della superbike di fabbricazione canadese potevano viaggiare nello scenario che forse lui amava quanto (se talvolta non di più) delle salite intorno alla sua Alba: il cielo terra di Città del Capo, tra la Table Mountain e altre cime dai nomi suggestivi come il Picco del Diavolo e i Dodici Apostoli, e l'oceano. Così come quando correva (l'altra passione poi forse superata dalla bicicletta) si faceva seguire da Giorgio Rondelli (il trainer fra gli altri di campioni come Alberto Cova e Francesco Panetta), per il ciclismo aveva scelto Ivan Gotti, due volte vincitore del Giro d'Italia.
PIETRO E MICHELE FERREROE proprio con lui, dal Sudafrica, ha parlato poche ore prima della sua ultima «boccata d'aria» . La bicicletta non era però solo una passione. Era anche un tratto significativo del suo carattere. Che gli amici di sempre amano definire «limpido» , aggettivo nel quale trovano ospitalità anche la riservatezza e la semplicità, pregi che tutti gli riconoscevano. E che non sempre sono rintracciabili per chi, come lui, ha da sempre vissuto anche la pressione della responsabilità, condivisa con il fratello Giovanni, di essere l'erede del padre Michele al vertice dell'impero della Nutella, fra le multinazionali italiane più conosciute al mondo con quasi 7 miliardi di fatturato.
Sono però lontani i tempi in cui il padre di Michele, il nonno Pietro Ferrero, inventa nel laboratorio di via Rattazzi il «Gianduiot» a base di nocciole, prodotto con il quale nasce ufficialmente la Ferrero. E appartengono in fondo ancora al mondo del laboratorio le «pagelline» di Michele, che afferra dai vagoncini del trenino che viaggia sul tavolo a «u» le novità dolciarie, le assaggia e assegna loro un voto da sei a nove.
Perché se il padre (a 86 anni ancora il capostipite) è il re del prodotto, la distribuzione nel '97 delle deleghe gestionali fra Pietro (innovazione) e Giovanni (commerciale) segna una svolta più «industriale» per il gruppo. Che ha comunque da tempo il cuore ad Alba, ma la top holding (l'International) è fuori, prima in Olanda quindi in Lussemburgo, e la «cassaforte» è a Montecarlo, dove Michele è di casa.
In azienda Pietro, che ha frequentato le scuole medie e superiori a Bruxelles e si è laureato in biologia a Torino, entra prima nello stabilimento di Allendorf, quindi in quello di Alba. Nel ' 92 assume la responsabilità della gestione operativa nella divisione Europa. Ma non resta solo in «fabbrica». Sempre nel ' 92 entra nel consiglio del San Paolo e successivamente in quello di Mediobanca, istituto del quale Ferrero è socio e partecipa al patto di sindacato con una piccola quota (lo 0,66%).
PIETRO E GIOVANNI FERRERODal board di Piazzetta Cuccia esce però nel 2009 proprio per gli impegni crescenti nel gruppo. L'impero della Nutella, da sempre chiuso ad acquisizioni e alleanze, un paio di anni fa si è lasciato tentare dal grande passo con l'inglese Cadbury. «Avventura» poi tramontata e che non tutta la famiglia ha condiviso fin dall'inizio: almeno non l'ha seguita entusiasta Michele, che poi in fondo ha avuto partita vinta.
In queste ultime settimane la bandiera dell'italianità ha spinto verso il tavolo di Alba il dossier Parmalat. Però anche questa volta, ragion di «bandiera» a parte, ha prevalso l'idea di Michele e Ferrero alla fine si è ritirata. Ma in questo momento per Alba tutto ciò non ha più importanza. Pochi minuti hanno segnato per sempre l'impero.
3 - CRESCERE PER 70 ANNI MA SEMPRE DA SOLI: UN'AZIENDA "GLOBALE" MA RIGIDAMENTE FAMILIARE DA 6,6 MILIARDI DI FATTURATO
Francesco Manacorda per "la Stampa"
Crescere, crescere, crescere senza fermarsi mai, ma restando sempre avvinghiati alle proprie radici. Crescere da via Rattazzi, ad Alba, dove il 14 maggio 1946, viene iscritta alla Camera di Commercio di Cuneo, «la ditta P. Ferrero di Cillario Pierina fu Giuseppe in Ferrero... avente per oggetto la produzione di cioccolato, torrone e dolciumi in genere» e scoprendo la pietra filosofale che trasformerà la «tonda gentile», la nocciola delle Langhe, in Giandujot e poi in Nutella.
Crescere per diventare nel giro di appena cinquant'anni il colosso che trovi sugli scaffali dei supermercati del New Jersey e nelle botteghe indiane, nelle pubblicità cinesi e in quelle del Sud Africa dove Pietro ha perso la vita. Crescere, senza un anno di crisi, sull'onda di una dolcissima globalizzazione che avanza a colpi impercettibili di ovetti, Nutella e merendine; gira la testa solo a pensare quanti barattoli, quante stagnole da scartare, ci sono dietro quelle vendite complessive che - è scritto nell'ultimo bilancio - arrivano a 6,6 miliardi di euro.
pietro-ferreroCrescere anche per diventare il marchio con la miglior reputazione al mondo - più dei mobili Ikea, più delle saponette Johnson & Johnson - e trasformarsi in una macchina per fare soldi che pompa contanti verso il Lussemburgo, buen retiro fiscale dove da anni batte il cuore finanziario della Ferrero Société Anonime, holding internazionale del gruppo. Un euro di profitti netti ogni dieci euro di prodotti venduti - 653 milioni in tutto nell'ultimo esercizio - e il nome del patriarca Michele Ferrero al trentaduesimo posto nella classifica mondiale, primo ovviamente in quella italiana, dei supericchi di Forbes con 18 miliardi di dollari di patrimonio personale.
Crescere con il cioccolato e attorno al cioccolato - senza però disdegnare le mentine o il the freddo - come da tradizione, programma e imperativo del capoazienda e capofamiglia Michele, che ancora oggi sperimenta nuove formule nel laboratorio di Montecarlo. Proprio come suo padre, il pasticciere di Farigliano Pietro Ferrero, capostipite di una dinastia che non vedrà e che in via Rattazzi, nel secondo dopoguerra, fa di necessità virtù e sostituisce l'umile nocciola al cacao che manca.
Poi è una storia che s'intreccia e scavalca quella del boom economico: i mille furgoncini che portano in Italia il verbo di Alba; la prima fabbrica - è il 56 - fuori dai confini, ad Allendorf; i nuovi prodotti sformati a getto continuo seguendo - e spesso anticipando - l'evoluzione dei consumi. La Nutella, quell'antica crema di gianduia che adesso spiega anche agli anglofoni che dentro ci sono le nocciole, sfonda sui mercati europei: alla metà degli Anni 60 ci sono società commerciali in otto paesi, dalla Danimarca alla Gran Bretagna; nel 1969 è la volta degli Stati Uniti, da cui poi si apriranno mercati che vanno dall'America Latina all'Oceania.
PIETRO FERRERO IN BICISono gli anni in cui ad Alba i cattolicissimi Ferrero chiedono alla Curia il benestare per il lavoro domenicale proprio per far fronte a una domanda che non si ferma. Concesso. Diventa sempre più fitta quella trama che unisce la città e la famiglia a un mondo vicino e a quello lontanissimo. Attorno allo stabilimento - turni supplementari prima di Pasqua e di Natale, la scena ormai storica degli operai che spazzano via il fango dopo l'alluvione del 94 - ancora oggi gli autobus che da decenni aspettano a ogni fine turno, in partenza per le destinazioni Saliceto, Belbo, Canelli - di chi ha scelto al fabbrica ma resta a casa sua e in autunno sforna meno Rocher o Mon Cherì per pensare alla vendemmia. Dentro gli stabilimenti le tonnellate di nocciole che arrivano dalla Turchia o dalla Georgia: coltivazioni sterminate messe a punto in questi ultimi anni dai tecnici e gli agronomi Ferrero perché il gigante dei dolci non deve, non può, fermarsi mai.
Capitalismo familiare puro e duro. Mai passata per la stanza dei bottoni, forse nemmeno mai arrivata nei paraggi, la quotazione in Borsa che pure tante banche d'affari si sono affannate negli anni a proporgli. Mai scalfita, nemmeno per un attimo, l'ortodossia secondo cui il capofamiglia ha l'ultima parola anche di fronte ai figli che scalpitano per cercare nuove avventure imprenditoriali. Mai riuscita - in qualche caso nemmeno tentata - la crescita a colpi di acquisizioni.
LE CIFRE DEL GRUPPO FERREROLa prima volta, è un remoto 1985, l'occasione è quella della Sme, quando Michele si mette in cordata con al Barilla e la Fininvest per rilevare la Cirio e i panettoni di Stato. Finirà in battaglia giudiziaria, un terreno che ad Alba non interessa proprio. Poi un quarto di secolo di operoso silenzio e in due anni due colpi che risuonano forti, segno probabile delle ambizioni ribollenti dei figli. A fine 2009 è l'affare Cadbury, che tenta davvero Alba per la possibilità di ridisegnare, con l'alleato americano Hershey's, la mappa globale dei dolciumi.
Ma l'Opa ostile della Kraft diventa un ostacolo insormontabile: Michele Ferreo e i suoi figli sono abituati a inventare, produrre, vendere. Non a fare la guerra, anche se a colpi di azioni. Poche settimane fa l'ultima - e in verità tiepidissima - tentazione, sotto il nome di Parmalat, spinta verso Alba anche da qualche pressione politica. Non sarà nemmeno questa la volta giusta per cambiare pelle. Il destino resta, nonostante i colpi del destino, nel segno di una Ferrero che cresce da sola.