Francesco Manacorda per "la Stampa"
ALBERTO NAGELUfficio di Cesare Geronzi al terzo piano di piazza Venezia, le nove e trenta di ieri mattina. Di fronte al presidente delle Generali ci sono l'ad di Mediobanca Alberto Nagel, che della compagnia è vicepresidente e primo azionista con il 13,5%, e il consigliere Lorenzo Pellicioli che rappresenta il socio De Agostini. Hanno in mano una mozione di sfiducia al presidente con almeno 10 firme sui 17 consiglieri, ma non avranno nemmeno bisogno di tirarla fuori. La resa, come sempre nelle grandi battaglie, è un affare di silenzi più che di parole.
Nagel& Pellicioli, sono loro la coppia che già da sabato scorso, in maniera riservatissima ma serrata, ha messo a punto il blitz contro Geronzi - considerato ormai un rischio per la compagnia - e quello che un protagonista definisce il suo «golpe strisciante» sul Leone. E adesso, prima ancora si riunisca il consiglio straordinario che dovrebbe trattare proprio lo scontro nelle Generali, è il momento di affrontare il presidente. Lui, che solo pochi minuti prima ha saputo del blitz da una visita del vicepresidente Francesco Gaetano Caltagirone in veste di ambasciatore, è sorpreso ma non spiazzato.
CDA GENERALIE' arrivato alle Generali da meno di un anno, proposto proprio da Mediobanca, e da allora - lamentano gli insorti di piazza Venezia - non ha fatto che destabilizzare la compagnia, con interviste e interventi poco adatti a un presidente non esecutivo, voci malevole sul management guidato dall'amministratore delegato Giovanni Perissinotto, e poi quello che viene considerato l'atto più grave: il lancio del kamikaze Vincent Bolloré contro il bilancio del gruppo nel cda del 16 marzo. Un attacco motivato ufficialmente dai dubbi del vicepresidente francese della compagnia sull'accordo di Generali con la ceca Ppf ma dietro il quale molti vedono la mano del presidente.
Dopo gli scontri in crescendo, il 29 marzo scorso si fa il punto in Mediobanca. In una riunione del comitato nomine, presenti Nagel e i grandi soci di piazzetta Cuccia - Bolloré compreso, che in quella banca pesa per oltre il 5% - si fa il punto della situazione. I manager Mediobanca decidono che dopo quanto è accaduto bisognerà «tagliare le unghie» allo stesso Bolloré e a Geronzi: una censura, magari, per il primo che già si mostra contrito; una decisa riduzione delle deleghe per il presidente.
LORENZO PELLICCIOLIPoi, sabato scorso, qualcosa cambia. Perché? In Mediobanca si comincia a ragionare sul fatto che un Geronzi ferito è più pericoloso di un Geronzi tranquillo o definitivamente neutralizzato. Una visione che nasce dall'esperienza già avuta con il banchiere di Marino alla presidenza di Mediobanca e alla quale non è estranea nemmeno la nuova vocazione interventista di Unicredit che nel consiglio di piazzetta Cuccia ha il suo presidente Dieter Rampl e il vicepresidente Fabrizio Palenzona - e che vuole giocare un ruolo rafforzato nella Galassia del Nord.
L'inserimento di Geronzi in Generali - prende atto Nagel, che del resto già un anno fa non pensava fosse una buona idea - non ha funzionato. Lo ritiene anche Pellicioli, stanco delle estenuanti battaglie che da undici mesi drenano l'energia dei soci e paralizzano Perissinotto e i suoi uomini.
È una battaglia di potere ma è anche la rivolta dei tecno-cinquantenni - una media, Nagel ne ha 47, Pellicioli va per i 60, il «guastatore» Diego Della Valle che da mesi si distingue per le sue dichiarazioni anti-Geronzi, e Perissinotto ne hanno cinquantotto contro quel potere capitolino vecchissimo ed apparentemente eterno incarnato oggi nel settantaseienne Geronzi. «Il nostro è anche un contributo al cambiamento culturale e generazionale», commenta uno dei «congiurati».
GERONZIE per Mediobanca, dove si rifuggono con un'alzata di spalle le facili suggestioni edipiche che vogliono i figli ormai pronti a uccidere simbolicamente quel padre così ingombrante, si tratta solo di rivestire in pieno il proprio ruolo istituzionale di primo azionista del Leone, mettendo a punto una governance efficace che consenta alla compagnia di crescere e - particolare non indifferente - staccare dividendi.
DIEGO DELLA VALLEDa sabato sono telefonate, contatti, prudenti sondaggi ma anche la massima attenzione perché Geronzi non capti il pericolo. Il blitz viene reso noto a tutti i consiglieri solo nella serata di martedì, con un vertiginoso valzer di incontri romani. Alle 20 Nagel, il direttore generale di Mediobanca Leonardo Vinci, Pelliccioli si ritrovano a pranzo nella foresteria della banca, in piazza di Spagna, con Caltagirone.
Da lui arriva una posizione di sostanziale equilibrio, riconosciuta da tutto il cda: non vuole che Geronzi sia messo alla gogna ma non difenderà certo ad oltranza il presidente. Poi si aggiungono Della Valle e Miglietta, il cui consenso sull'operazione è scontato. Due ore dopo Nagel incontra faccia a faccia Paolo Scaroni, amministratore delegato dell'Eni e influente consigliere indipendente del Leone: un altro via libera. A mezzanotte i «congiurati» si ritrovano tutti o quasi sono nel palazzone di via Bissolati 23, cuore di Roma, dove c'è la sede di Ina-Assitalia, controllata del Leone.
Fabrizio Palenzona e Dieter RamplCon loro anche i tre uomini al vertice operativo delle Generali: Perissinotto, Balbinot e Agrusti. Si smorzano gli ardori di chi vorrebbe una punizione esemplare per Bolloré. Si spara è la linea del cacciatore Nagel - al «bersaglio grosso». Ieri mattina l'ultimo faccia a faccia con Bolloré: lui difende fino all'ultimo, o quasi, Geronzi.
Poi in cda si preoccuperà di smarcarsi dal ruolo di guastatore: «Se i chiarimenti dati dalla compagnia vanno bene alla Consob e all'Isvap, anche io sono soddisfatto». Bolloré è salvo, Geronzi è fuori, Nagel ha centrato il bersaglio e non teme che la battaglia di Trieste si sposti adesso come prevedono invece molti - ai piani alti di Mediobanca.