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COME TI SPUTTANA L’ALGORITMO - IL TRIBUNALE DI MILANO DÀ RAGIONE A UN IMPRENDITORE CHE SI SENTIVA DANNEGGIATO DAL FATTO CHE GOOGLE ASSOCIASSE AUTOMATICAMENTE IL SUO NOME ALLE PAROLE \"TRUFFA\" E \"TRUFFATORE\" - LA SOCIETÀ DOVRÀ INTERVENIRE SULL’ALGORITMO PER ‘CORREGGERE’ LA FUNZIONE DI AUTOCOMPLETAMENTO - VA A FARSI BENEDIRE LA PRESUNTA NEUTRALITÀ DEI MOTORI DI RICERCA CHE DOVRANNO COSÌ INTERVENIRE SULLE INFORMAZIONI FORNITE DAGLI UTENTI, PER EVITARE GRANE O PER DIFENDERE GLI INTERESSI DEI PROPRI PARTNER…

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Alessandro Longo per Repubblica.it

google

La funzione di suggerimento nella ricerca di Google è diffamante, se accosta il nome di una persona a parole che ne ledono la professionalità o la dignità. Lo ha stabilito il Tribunale di Milano, accogliendo il ricorso di un cittadino che si era sentito diffamato dalle parole che il servizio Google Suggest associava automaticamente al suo nome. La corte ha respinto il reclamo della società californiana e le ha imposto di eliminare quell'accostamento, addebitandole le spese di lite. Vicenda notevole, perché alimenta l'idea secondo cui gli algoritmi non sono neutri e rende i motori di ricerca responsabili nei confronti dei contenuti web indicizzati.

larry page sergey brin - Fondatori di Google

La vicenda parte dal ricorso urgente di A. B., indicato dall'ordinanza come "un imprenditore del settore finanziario che si occupa, tra l'altro, di organizzare corsi formativi in materia finanziaria e di pubblicizzare la maggior parte delle sue attività tramite la rete internet". Costui ha visto che, non appena si inseriva il suo nome su Google, il sito suggeriva di includere nella ricerca anche le parole "truffa" o "truffatore". E' l'ormai noto strumento di autocompletamento o autosuggerimento. In sostanza Google suggerisce le parole chiave che ricorrono più di frequente con quella cercata nelle ricerche degli altri utenti. Significa che un buon numero di persone ha scritto su Google la parola "truffa" o "truffatore" insieme con il nome di A. B.

tribunale

L'imprenditore non ha chiesto filtri preventivi per impedire un abbinamento di parole sgradito. Ma ha lamentato che Google non l'abbia eliminato dopo la sua segnalazione. Fa riferimento così alle norme europee sugli hosting provider, figura a cui assimila Google. Gli hosting provider sono responsabili delle informazioni fornite agli utenti solo se non intervengono per rimuoverle dopo essere stati messi al corrente di un illecito.

Larry Page di Google

Google si è difesa dicendo che il motore di ricerca è neutrale e quindi non è responsabile dell'abbinamento sgradito. Il giudice non è d'accordo. Per prima cosa equipara Google a un hosting provider, rilevando che ormai i motori di ricerca sono come database. Non si limitano a cercare informazioni, ma fanno una copia dei siti web sui propri server. Già questo è un passaggio notevole. Finora infatti, secondo le norme europee, i motori di ricerca hanno responsabilità diverse, più leggere, rispetto agli hosting provider e non sono tenuti a rimuovere qualcosa dopo la segnalazione.

Ma il giudice va avanti: afferma che l'autosuggerimento perde la neutralità quando produce un abbinamento improprio tra le parole. Questa perdita di neutralità potrebbe estendersi di riflesso a Google, per il fatto stesso di aver adottato quello strumento. Scrive infatti il giudice: "E' la scelta a monte e l'utilizzo di tale sistema e dei suoi particolari meccanismi di operatività a determinare - a valle - l'addebitabilità a Google dei risultati che il meccanismo così ideato produce; con la sua conseguente responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 c. c.) per i risultati eventualmente lesivi determinati dal meccanismo di funzionamento di questo particolare sistema di ricerca. Si tratta", continua l'ordinanza, "di una scelta che ha chiaramente una valenza commerciale ben precisa, connessa con l'evidenziata agevolazione della ricerca e quindi finalizzata ad incentivare l'utilizzo (così reso più facile e rapido per l'utente) del motore di ricerca gestito da Google".

Google condannata

Insomma: i motori di ricerca, diventati ormai molto intelligenti per soddisfare gli utenti, rischiano responsabilità e grane giudiziarie. Il giudice anticipa i nuovi orientamenti normativi: la Commissione europea si sta orientando infatti ad assimilare i motori agli hosting provider, quanto a responsabilità, nella futura versione del codice di comunicazioni elettroniche.

L'obiettivo è soprattutto coinvolgere i motori, con i fornitori di accesso a internet, nella guerra alla pirateria online. Ci sono affinità, del resto, tra quest'ordinanza e quella del Tribunale di Roma contro Yahoo!, costretto a rimuovere alcuni risultati di ricerca che portavano a pagine web dove scaricare o vedere illegalmente il film About Elly.

Google

Resta da vedere l'effetto che queste nuove responsabilità potrebbero avere sulla libertà d'espressione online. Finora si è ritenuto che gli intermediari (i provider, i motori) fossero neutrali. Ed, essendo tali, non dovessero intervenire sulle informazioni che forniscono agli utenti. Ma, se ne diventano responsabili, possono essere spinti ad alterare o censurare alcune informazioni, in via preventiva o a posteriori. Per evitare grane o per fare gli interessi di aziende, personaggi o poteri con cui hanno preso accordi.

E' il rischio segnalato nelle scorse ore - sull'onda della vicenda Yahoo! - da molti giuristi esperti di internet, tra cui Fulvio Sarzana e Guido Scorza. Ed è anche il principio di fondo del reclamo sporto da Yahoo!, a fine marzo, contro la decisione del Tribunale di Roma.

 


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